di redazione [user #116] - pubblicato il 10 luglio 2020 ore 07:30
Il professionismo non è solo soddisfare le richieste del committente, ma sapere esattamente come realizzarle al meglio nei modi meno convenzionali. Lo racconta Carl Verheyen.
Un buon chitarrista da studio deve essere in grado di trasportare con fedeltà sul disco le idee del cliente. La tecnica è importante, ma non è tutto. Può accadere che un artista abbia in mente una precisa resa sonora ed è compito del musicista scegliere gli strumenti più adatti, accoppiarli e regolarli nel modo migliore per renderla realtà. Una ricca strumentazione e una profonda conoscenza della stessa sono elementi di primaria importanza per scovare soluzioni non sempre scontate, ma quanto mai efficaci.
Carl Verheyen non è solo uno dei turnisti più apprezzati in circolazione, ma è anche un vero fanatico di strumenti. Della sua collezione, ci racconta: “Ho circa settanta chitarre. Molte Telecaster, qualcosa come tredici Stratocaster ma anche diverse Gibson Les Paul, SG e 335.”
Non si tratta però di un accumulo compulsivo: sono tutti attrezzi da lavoro, e Verheyen ha trovato il suo equilibrio per usarli tutti senza rinunciare alla sensazione di “trovarsi a casa propria” che spesso fa schierare fenderiani e gibsoniani senza permettere loro di trovare una mediazione. La soluzione è più semplice di quanto si pensi: “Sulle prime uso corde .009, mentre sulla scala corta delle Gibson trovo un buon compromesso compensare la tensione con corde .010: mi restituisce il feel delle mie corde preferite.”
Non mancano, naturalmente, strumenti dal taglio meno convenzionale: “Ho anche chitarre in stile Stratocaster più moderne, John Suhr, alcune artigianali anche con Floyd Rose. Ho anche cose completamente diverse, per esempio una Supro Dual Tone del 1956, che uso per lo slide. E… le uso tutte!“.
Il lavoro del musicista da studio, quando si miscela con il desiderio di calcare i palchi di tutto il mondo, genera precise esigenze. Un’amplificazione variegata ne è la diretta conseguenza: “Posseggo, credo, 50 amplificatori. Se suonano bene, semplicemente non li rivendo più. Al momento ho cinque amplificatori in Europa e altri 45 pronti a casa. C’è di tutto, Marshall, Fender, Vox, Dr Z, THD, dei vecchi Jim Kelley…”
Un ampio vocabolario di suoni tra cui scegliere gli elementi più adatti al caso è senza dubbio importante, ma un deposito infinito di corde e valvole non ha senso se non si sa esattamente cosa si può tirare fuori da ogni singolo “attrezzo”.
Carl ci ha raccontato il suo modo di porsi nello studio di registrazione e come una richiesta precisa di un cliente possa vedersi soddisfatta intraprendendo una strada profondamente diversa da quella più ovvia.