Sono trascorsi esattamente 10 anni da quando il Kemper Profiling Amplifier ha fatto la sua prima comparsa sul mercato. Da allora, il “tostapane” - insieme ad altri dispositivi digitali di qualità sempre maggiore - ha cambiato nel profondo il modo di fare musica in ambito professionale.
Max Rosati ha vissuto in prima persona la lenta trasformazione dei grossi palchi, vedendo gli amplificatori sparire dalla scena in favore del monitoraggio in cassa prima, in-ear poi, fino alla diffusione a macchia d’olio delle profilazioni.
Da buon professionista e conoscitore delle problematiche che le nuove tecnologie si apprestavano a risolvere, ha accolto con entusiasmo il Kemper, facendone un elemento centrale della sua strumentazione fino a mettersi in moto per produrre delle profilazioni in prima persona.
“È una scommessa per me” ci ha spiegato: “L’ho fatto per il piacere di divulgare un certo tipo di idea del suono. Dietro la profilazione c’è una filosofia sonora, non si fa con leggerezza. Prima instauri un rapporto con l’amplificatore, lo fai suonare come dici tu, lo regoli affinché rappresenti bene il suono che hai in mente, e solo dopo lo profili.”
Un dispositivo come il Kemper è un’arma potente per la personalità di un musicista. Così Max racconta: “Quando fai una profilazione, scatti una fotografia di una tua idea musicale, tant’è vero che a un certo punto mi sono fermato, perché cercavo di tirare fuori dai vari amplificatori più o meno sempre lo stesso suono, perché se hai in mente un certo tipo di suono, in qualche maniera lo andrai a cercare. È come quelli che si separano da una donna e poi ne cercano un’altra uguale a quella che hanno lasciato… Se ami una cosa, vai sempre a cercare quella tipologia lì.”
Per i suoi profili, Max ha un’idea ben precisa, e di certo non vede nel Kemper una macchina capace di fare miracoli da sola: “Il Kemper ti dà la possibilità di fare dei movimenti oltre la profilazione, che sono piccole correzioni sul gain o sui toni.
La modifica significa però falsificare in qualche modo quello che è il profilo. Spesso si riesce anche a correggere ma, soprattutto per quanto riguarda il gain e quindi le saturazioni, io lo sconsiglio, perché in quel momento una macchina di base digitale sta muovendo in maniera digitale un parametro.
Vale a dire che, è vero, se ci serve più gain ce lo dà, ma è un gain inventato, non quello reale che darebbe l’amplificatore. Lo stesso, quando abbassi il gain.
Per questo i miei profili hanno almeno quattro livelli di gain diverso. È un lavoro lungo, minuzioso, abbastanza paranoico se vuoi, ma è una cosa che ha un senso in quanto cerco di fotografare l’amplificatore in quattro condizioni differenti, sperando che una di queste vada bene e non richieda modifiche al momento dell’utilizzo.”
Nella visione del chitarrista, l’analogico non viene messo da parte, anzi diventa parte viva del setup finale, traendo il meglio da entrambi i mondi.
Max illustra: “Utilizzo, sia in testa sia in coda, due macchine valvolari.
In studio uso una DI valvolare Bruco in cui entro con la chitarra. Da lì esco e vado al Kemper. Dal vivo uso una cosa simile ma con buffer e tre uscite.
Una va a un pedale volume prima di entrare nel Kemper per gestire la saturazione: questo agisce direttamente sul segnale della chitarra, quindi chiudendolo si riduce il gain, ma sempre in maniera analogica.
Un’altra uscita va direttamente a un Kemper di scorta e l’ultima va all’accordatore.
Dall’uscita del Kemper entro in un preamplificatore valvolare di linea, senza controlli né guadagni.
Quello che fanno queste macchine è darmi un ulteriore sostegno nel suono, un’ulteriore quantità di armoniche. Il suono ne risulta più ricco, più profondo, e soprattutto quella in testa mi dà più sostegno al suono, come se faticassi meno a suonare.
È la filosofia di mantenimento del suono delle valvole, che è inarrivabile. È ovvio che il Kemper non dà questo tipo di plus, ma è vero pure che probabilmente otterrei gli stessi miglioramenti anche se sostituissi il Kemper con un amplificatore valvolare. Verosimilmente, accadrebbe la stessa cosa. Col Kemper, credo faccia tornare un’ulteriore verità a una macchina già ottima di partenza, per quanto digitale.
D’altra parte, uso lo stesso preamplificatore anche per processare i miei mix. Brani interi che registro sia con apparecchi digitali, sia analogici: quando passano attraverso quel dispositivo, acquisiscono spazialità, armonici… È una cosa che arricchisce anche una cosa già bella.”
Abbiamo avuto un interessante scambio di battute con Max circa l’utilizzo del Kemper dal vivo e in studio, i modi migliori per ottenere suoni soddisfacenti e le ragioni per cui la macchina è apprezzata, oppure no.
Nel video, condividiamo un succoso spaccato di professionismo di alto livello, tra valvole e bit, ricerca di affidabilità e suono senza compromessi, con Max Rosati.
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