“Non esiste domani, ma solo l’adesso, l’attimo in cui sto respirando, il concerto che devo fare” raccontava Pat Martino, jazzista tra i più influenti che negli anni ’70 e poi di nuovo a partire dagli anni ’80 è riuscito a conquistare per ben due volte un ruolo di primo piano nell’Olimpo dei chitarristi.
Pat Martino, all’anagrafe Patrick C. Azzara, era malato già da alcuni anni. Il chitarrista è morto la sera del 1 novembre 2021 - ora italiana - all’età di 77 anni.
Nato nel 1944 a Philadephia, Pat era figlio d’arte.
Suo padre era cantante, i suoi idoli Wes Montgomery ed Eddie Lang.
Pat comincia a suonare la chitarra fin da giovanissimo e frequenta le realtà della musica dal vivo in tenera età. Di lui, Les Paul avrebbe ricordato un incontro con un ragazzino di soli 11 anni che l’aveva raggiunto nel backstage insieme a suo padre per un autografo. Quel ragazzino, già appassionato, imbracciò la chitarra di Les per qualche minuto e lo lasciò a bocca aperta per la predisposizione che, già allora, dimostrava.
A 12 anni comincia il percorso didattico per Pat, una guida che lo porterà a migliorare sempre di più e a prendere la decisione di lasciare la scuola, per dedicare tutta la sua vita alla musica.
La storia gli darà ragione: negli anni ’70 Pat Martino è uno dei giovani chitarristi più interessanti del panorama jazz, suona al fianco dei più grandi e conquista le copertine delle riviste.
Poi il destino si mette di traverso.
All’età di 36 anni arriva la diagnosi di una malformazione congenita al sistema artero-venoso. Episodi di convulsioni, malori e, nel 1980, la necessità di un intervento per un aneurisma cerebrale.
L’operazione è un successo, ma porta l'effetto collaterale di una profonda amnesia che non lascia niente dietro di sé. Pat non ricorda neanche il suo nome, non sa più come si suona la chitarra. Deve ricominciare tutta la sua vita da zero.
“Sono vivo”, le parole di Pat sul suo risveglio dal coma e dopo l’operazione, riportate dal libro “La filosofia di Pat Martino: La forza creativa del jazz”.
Il riavvicinamento con la chitarra non è immediato, gli ci vuole una “molla”, un evento che faccia scattare la vecchia passione. Pare sia accaduto mentre era in compagnia di un amico chitarrista intento a suonare, quando l’istinto lo porta a suggerire all’amico la sostituzione di un accordo.
È allora che l’amore si riaccende, e Pat si ritrova a ricominciare come fosse la prima volta, studiando sui suoi vecchi dischi fino a re-imparare letteralmente a suonare. Secondo alcuni, anche meglio di prima.
“Quando l’ho ripresa in mano dopo l’intervento non era più un semplice strumento, ma un luogo in cui nascondermi, un posto in cui mi sentivo protetto” racconterà in un’intervista.
Il suo stile evolve, le nuove tecnologie lo stimolano e il vecchio amore per il jazz-rock si fonde ai guitar-synth che, sul finire degli anni ’80, la facevano da padroni nei territori fusion e dintorni.
Il ritorno ufficiale alla musica avviene nel 1987, con l’album The Return.
Di lì a poco, anche il palco torna a essere una casa per Martino.
Negli anni seguenti, Pat Martino ha continuato ad affinare il suo stile, a esplorare soluzioni armoniche e melodiche originali, come la sua personale interpretazione dei solismi in funzione delle relative minori di ogni accordo, con l’applicazione di frasi e diteggiature che capovolgono, in un certo senso, quanto fatto fino a quel momento dalla prassi jazzistica maggiormente legata alla tradizione.
Ma gli ultimi anni sono difficili per Pat. La salute diventa precaria e arrivano le difficoltà finanziarie per un lungo periodo di inattività a cui la Pandemia ha dato il colpo di grazia.
Dal 2020, i fan si sono raccolti intorno al chitarrista anche contribuendo a una raccolta fondi in suo favore e raggiungendo una cifra considerevole, indispensabile per garantire all’artista le cure mediche di cui ha bisogno.
Anche Benedetto Guitars, con cui Pat aveva a lungo collaborato per la nascita di un modello signature, ha contribuito realizzando e mettendo all’asta un suo strumento.
Un’insufficienza respiratoria cronica lo costringe a trattamenti costanti, e l’inesistente assistenza sanitaria americana rende il tutto davvero complicato da affrontare.
Oggi Pat ha concluso il suo percorso, la sua seconda vita, ma non sarà dimenticato. |