di redazione [user #116] - pubblicato il 01 febbraio 2023 ore 13:00
La diatriba tra Heritage Guitars e Gibson giunge al termine, ma non è facile capire cosa comporterà l’esito per le due realtà musicali.
“Non ci lasceremo bullizzare” annunciava Heritage nel 2020 mentre la nuova gestione Gibson dichiarava guerra alle repliche non autorizzate e ai costruttori di chitarre troppo simili ai propri progetti iconici. La reazione fu comprensibile all’epoca, perché la storia di Heritage e di Gibson sono da sempre legate a doppio filo, e una politica del genere avrebbe potuto portare non pochi problemi al laboratorio del Michigan.
Quando Gibson lasciò gli stabilimenti di Kalamazoo nel 1984, un gruppo di dipendenti acquistò i laboratori per continuare a produrre chitarre col marchio Heritage.
Quasi per quieto vivere, dopo i prevedibili attriti iniziali, nel 1991 le due realtà hanno raggiunto un accordo “di buon vicinato” e gli animi si sono chetati fino al 2018, quando la nuova proprietà Gibson è tornata alla carica. L’accusa è - com’è prevedibile - quella di produrre strumenti troppo simili alle chitarre Gibson. Il colosso non sembra volerci andare leggero, spiegando che le cose sono cambiate dall’accordo del 1991 e, con Heritage assimilata da un gruppo di investimento internazionale e alcuni progetti extra-musicali atti a sfruttarne la proprietà intellettuale, le vecchie condizioni non potevano più essere considerate valide.
All’inizio del 2020, Gibson assicura di non aver avviato una causa legale, ma la cosa finisce in breve in tribunale. È la stessa Heritage a partire al contrattacco, citando Gibson “in risposta alle continuative ed eccessive campagne moleste da parte del team Gibson da quando è sotto la nuova gestione”, spiega BandLab (oggi Caldecott Music Group), tra i maggiori proprietari del marchio Heritage.
Nel 2022 i giudici tirano in ballo l’antitrust e danno ragione a Heritage, rifiutando la domanda avanzata da Gibson di respingere le lamentele di Heritage, spiegando che la situazione configura un comportamento scorretto nel tentativo di rafforzare i propri trademark, essendo al centro della diatriba prodotti dalle caratteristiche troppo diffuse per essere considerate proprietà intellettuale di Gibson, che avrebbe di fatto tentato di monopolizzare il mercato con le sue pressioni.
La sentenza non è andata giù a Gibson, e probabilmente qualsiasi chitarrista concorderebbe, considerando che le creazioni Heritage sono espliciti tributi all’epoca in cui Gibson produceva strumenti in quel di Kalamazoo. Lo stesso nome dell’azienda è un riferimento alla “tradizione” Gibson che ha animato quelle fabbrica per quasi tutto il ‘900.
La battaglia insomma si protrae, e per l’epilogo bisogna attendere il 2023. Lo scorso 30 gennaio si annuncia che Gibson ed Heritage hanno raggiunto un accordo secondo il quale entrambe le realtà pagheranno i propri costi legali relativi alla controversia.
Dai registri, nessuna delle due parti risulta essere uscita vittoriosa in senso assoluto. Nelle carte si legge:
"Pursuant to the Federal Rule Of Civil Procedure… the Parties hereby jointly stipulate to the dismissal of all claims and counterclaims by the Parties against one another, with prejudice, and with each party bearing its attorneys' fees and costs."
“Ai sensi della norma federale di procedura civile… le parti stabiliscono congiuntamente il rigetto di tutte le rivendicazioni l’una contro l’altra, con pregiudizio, e ciascuna parte si fa carico delle proprie spese legali.”.
In mancanza di informazioni più approfondite, tutto sembra essersi concluso in un nulla di fatto su ambo i lati, tanto che entrambe le parti hanno rilasciato dichiarazioni soddisfatte circa l’accaduto, senza però specificare cosa comporti in effetti la sentenza sul piano operativo.
Dalla sua, Gibson si dice “compiaciuta che la questione sollevata da Heritage sia stata dismessa. […] Ora che la situazione è risolta, Gibson può andare avanti e focalizzarsi sull’innovazione con confidenza”.
Heritage, dal canto suo, spiega “Siamo lieti che la questione sia risolta e ora possiamo concentrarci su cosa importa davvero, cioè portare avanti la tradizione della liuteria ed eccellenza al 225 di Parsons Street”.
Allo stato attuale, risulta difficile definire se la condizione di “parità” peserà in qualche modo sulle future mosse dei due marchi o se si rifletterà sulle decisioni di brand di terze parti. È altresì complicato capire se le dichiarazioni dei portavoce rappresentino un’effettiva conclusione positiva o si tratti di comunicazioni politiche in cui non si intende ammettere una sconfitta a metà.