Forse una cosa l’ho capita.
Io credevo di conoscere il segreto delle parole.
Scrivere mi piace, e magari questo si è capito, ma ancora di più mi piace sentire il suono delle parole, ascoltarle mentre ridono insieme a te quando parli con un amico oppure vederle correre a tempo sulla pagina fino a comporre qualcosa che muova emozione.
Parlare, scrivere, usare le parole perché suonino la tua musica è come comporre sul pentagramma: parole e note, se le rispetti, hanno il valore di un cuore infinito che parla di te e ti rende la libertà che cerchi.
Poi, stasera durante il tg, ho capito una cosa e, tanto per cambiare mi sono incazzato.
Il servizio del telegiornale parlava del ragazzo ucciso in autostrada e, a contorno dei luoghi comuni immancabili nella mesta circostanza, un signore anziano – poteva essere tuo nonno, tuo zio o perfino tuo padre – che dice:” Beh, io so’ tifoso romanista, ma me dispiace lo stesso…”
Per questa volta ti è andata bene, non è morto tuo nipote o tuo figlio, ma ciò non toglie che tu sia irrimediabilmente e totalmente un enorme coglione.
Lo sei perché hai smesso di pensare a quando eri giovane e credevi nel futuro, lo sei perché il tuo futuro te lo sei giocato dividendo le persone in azzurri e giallorossi, lo sei perché usi il tuo presente di incazzato cronico per rendere ridicole le parole mentre io cerco di meritarmele e non sei capace di piangere un ragazzo morto e contemporaneamente stare semplicemente … zitto.
Queste le cose, caro il mio coglione, che ho capito.
E pure io lo sono, coglione, perché m’incazzo.
Ma vaffanculo.
Paolo