PRDM - Cos'è?
PRDM sta per Principio di Riduzione a DO Maggiore. Trattasi di un sistema, da me inventato (ma non ho la presunzione di dire che nessun'altro ci abbia mai pensato...), per gestire le improvvisazioni in maniera penso molto semplice, qualsiasi sia la base su cui si va a improvvisare. E' un metodo come tanti, non intende sostituirsi alle soluzioni classiche, semmai tende ad arricchirle di nuovi modi di vedere e nulla vieta poi di applicare la medesima logica anche per scopi compositivi o di arrangiamento.
Il principio
Sostanzialmente, il PRDM sancisce che è possibile improvvisare su qualsiasi base semplicemente conoscendo la scala di DO maggiore... dopotutto chi non conosce DO, RE, MI, FA, SOL, LA, SI???
Perchè questo approccio?
Suonando musica con un approccio personale e progressivo, non si può pretendere che la musica segua pedissequamente le regole tradizionali riguardo a tonalità, modi, risoluzioni/tensioni, eccetera... c'è una grossa percentuale di caos e atonalità, in quanto lo scopo è primariamente quello di soddisfare l'orecchio. Dunque anche le basi per gli assoli di chitarra seguono questa logica "anarchica" e le soluzioni che verrebbero a proporsi seguendo i dettami della teoria classica e/o della didattica moderna si concretizzerebbero in valanghe di masturbazioni matematico/mentali, quando lo scopo della musica in sè è ben diverso (basta che pensiate alle valanghe di articoli su "Giant Steps" di Coltrane... davvero pensate che questo grande artista pensava tutto quello che è stato scritto su di lui poi? Secondo me no... egli suonava col cuore e basta...)
Introduzione al PRDM
Tutto inizia da qui... DO maggiore su DO maggiore. Semplice, no?
Adesso facciamo alcune considerazioni introduttive:
- Quando si suona si fa musica e non è obbligatorio sciorinare esercizi o inserire per forza quello che si è studiato il giorno prima
- Nessuno ci obbliga a suonare una scala dall'inizio alla fine o rispettando l'ordine delle note (vedi anche punto precedente)
- Utilizzare una scala "preconfezionata" corrisponde a usare una sonorità inventata da altri per altri scopi... può anche funzionare, ma è veramente quello che volevamo?
Le considerazioni principali provengono proprio dal secondo punto. Il requisito tecnico preliminare (e anche l'unico, da qui la semplicità di questo sistema) è quello di conoscere la scala di DO maggiore sul nostro strumento. Riciclo di seguito lo schema proposto da Allan Holdsworth, da cui ho preso l'ispirazione primaria. Egli consiglia di lasciar perdere diteggiature e schemi esistenti e lasciare che le dita danzino liberamente su questo schema, insomma deve essere possibile eseguire una qualunque di queste note in un qualunque momento.
Evoluzione, parte 1 (Approccio modale per vie traverse)
Vediamo ora cosa succede quando la base non è più DO maggiore.
Qui siamo in DO lidio su SOL maggiore, direbbero i puristi. Ebbene sì, la parte prima del PRDM lavora in maniera "astratta" (la parte seconda sarà poi "pragmatica"). Si prende quindi in considerazione che la tonalità di SOL maggiore (o quella della base) rispetto al DO maggiore ha il FA#. Faccio notare che non ho volutamente parlato di IV grado, ma proprio di FA#, in quanto il ragionamento "in assoluto" è proprio quello che ci permette di utilizzare una sola conoscenza pratica, che è quella del punto precedente.
Ne emerge semplicemente che, per suonare in SOL, non serve conoscere la scala di SOL e nemmeno i modi che contengono questa tonalità, ma è sufficiente ricordarsi "strada facendo" di fare il FA# anzichè il FA naturale! Tutto qua.
A questo punto la scala non è più una sequenza di suoni in rapporto tra loro, ma diventa una sequenza di suoni in rapporto con il loro utilizzo. Il termine che ho coniato per tale sequenza è deformazione. Il numero delle alterazioni presenti nella deformazione è detto grado. Il PRDM, come corollario, sancisce che la deformazione deve avere un grado più basso possibile.
Da cui viene che la nostra cara vecchia scala di DO maggiore, da qui in poi potrà essere chiamata deformazione di grado 0.
Questo significa che a livello pratico è sufficiente quanto detto, mentre a livello teorico (per ora, ma poi non servirà nemmeno quello) basta conoscere le alterazioni delle tonalità maggiori (ciclo delle quinte).
Vediamo una base più complessa... tanto il ragionamento è analogo:
La scelta delle tonalità è chiaramente arbitraria, visto che gli accordi succitati appartengono a più tonalità. Per risolvere questa arbitrarietà, svincolarci definitivamente dal concetto di tonalità e modalità, vediamo il punto seguente...
Evoluzione, parte 2 (Riduzione pragmatica)
Come appena detto la parte 1 presenta delle arbitrarietà non previste e, a ben vedere, non si discosta poi tanto dall'approccio modale; semplicemente invece di conoscere a memoria i nomi e le formule dei modi, ci siamo arrivati "per vie traverse", ma il risultato armonico è sostanzialmente quello.
Facciamo allora un passo più in là: eliminiamo dalla nostra mente il concetto di "tonalità" (e di seguito quello delle armature di chiave). Cosa ne otteniamo? Che per suonare sui nostri 4 accordi di esempio dobbiamo conoscere esattamente da che note sono composti. Il nostro branetto di esempio diventa quindi come segue:
Come potete vedere sono semplicemente "sparite le alteriazioni" delle note che non sono nell'accordo. Per esempio nella prima battuta, nel C#maj7 non è presente il RE e quindi non gli affibbiamo un diesis, e così via...
Analizzando questo esempio, si possono fare una serie di considerazioni.
- Per suonare su un accordo, è sufficiente rispettarne le note, per il resto siamo liberi... quindi, furbescamente, in nostro scopo sarà proprio quello di ridurre al minimo il grado delle deformazioni!
- Vengono a crearsi delle scale e delle sonorità "inaspettate", che talvolta assomigliano a qualcosa che già abbiamo sentito, altre volte no
- Possiamo avere suoni omofoni pur suonando diatonicamente (vedi MI# e FA consecutivi nella prima battuta)
- Come vuole il PRDM, non è necessario "imparare" queste nuove scale, ma bisogna acquisire la capacità di vederle come "deformazioni" più o meno complesse, alterando (deformando) strada facendo il diagramma della tastiera visto più sopra, di fatto conoscendo la sola scala di DO
Evoluzione, parte 3 (Deformazioni e Controdeformazioni)
Ne conviene che, se sappiamo cosa fare su un accordo, sappiamo anche cosa non fare. Quindi se utilizziamo una scala generata col PRDM (deformazione) per suonare in, se ne desume che, per suonare out, possiamo usare il "negativo" di tale deformazione, per citare l'amico Stefano Valli, ideatore della cosa, la relativa non-scala (controdeformazione). Vediamo il risultato:
Le controdeformazioni poi ci aprono una serie di opportunità più, non banali. Dovendo "negare" ogni nota della scala ne consegue che, ad esempio, un "non SOL" può essere sia un SOL# che un SOLb. Immaginate ora di applicare il calcolo combinatorio a questa condiserazione. Ne otterrete che per ogni scala, esistono 2(n+1) nonscale, dove n è il numero di note che compongono la nostra scala.
Anche qui, analizzando a fondo il tutto, si può desumere che, essendo le deformazioni generate da un principio logico prima che musicale, esse sono composte da una certa percentuale di suoni in e dalla restante percentuale di suoni out. La controdeformazione presenta tale bilanciamento invertito, quindi non possiamo dire in realtà che stiamo suonando in o out, in quanto facciamo costantemente entrambe le cose! Naturalmente la controdeformazione suona molto "aspra" in quanto vìola le note dell'accordo, e quindi il consiglio, per utilizzare questo "sapore", è quello di prediligere i tempi deboli o gli accordi di preparazione, oppure accorciare la durata delle note "negate" dell'accordo di base.
Evoluzione, parte 4 (Estensioni di ottava)
Finora abbiamo visto come lavorare su accordi con intervalli stretti. Vediamo ora cosa succede se le voci dell'accordo sono dislocate in diverse ottave.
L'accordo qui sopra è, secondo la teoria standard, lo stesso C#maj7 degli esempi precedenti, in quanto composto dalle stesse note. Secondo me, e penso anche secondo qualsiasi persona di buon senso che non sia già annegata nella didattica, esso suona molto differente da quelli ascoltati più sopra e quindi penso vada trattato differentemente. Il principio è sempre quello: si parte dalla deformazione di grado 0 e se la ripete su tutte le ottave coperte dall'accordo. A questo punto si applica la deformazione necessaria.