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Music Man contro Sterling: 2mila euro sotto le dita
Music Man contro Sterling: 2mila euro sotto le dita
di [user #16167] - pubblicato il

In redazione sono arrivate la Sterling Luke e la Music Man Steve Morse Y2D Dark Lord, due signature molto simili come filosofia, ma distanti più di 2mila euro. Prima di farvele sentire nei rispettivi test approfonditi, abbiamo pensato di scambiare con voi due opinioni sotto le dita.
In redazione sono arrivate la Sterling Luke e la Music Man Steve Morse Y2D Dark Lord, due signature molto simili come filosofia, ma distanti più di 2mila euro. Prima di farvele sentire nei rispettivi test approfonditi, abbiamo pensato di scambiare con voi due opinioni sotto le dita.

Dopo le camere tonali, le colorazioni limited e "SD1 o TS9", l’argomento che più tiene banco tra i chitarristi è sicuramente il rapporto qualità prezzo, o meglio, quanto senso abbia spendere più soldi per uno strumento simile, ma di fascia superiore. Quante tastiere (e non parliamo di quelle in palissandro) sono state consumate in interminabili discussioni, partite da un "ho comprato una messicana che suona meglio di una Masterbuilt".

Quando in redazione ci sono capitati due strumenti come la Music Man Steve Morse Darklord e la Sterling Luke, abbiamo colto l’occasione per raccogliere qualche impressione riguardo proprio le differenze tattili tra due chitarre così simili, dal punto di vista strutturale, quanto lontane nel prezzo.
Quindi, nell'angolo sinistro signori e signore la Y2D Dark Lord, con un prezzo di 3300 euro, corpo in pioppo, top in acero fiammato e manico in acero. Nell’angolo destro invece la Sterling Luke, 1000 euro circa per portarsela a casa, corpo in tiglio e manico in acero.

Scherzi a parte, non si tratta di una vera e propria sfida. Sappiamo bene che le due chitarre non sono identiche, come potrebbero esserlo una Strat messicana e una John Cruz (con i dovuti distinguo). La dotazione tecnica e le geometrie però sono molto simili e quindi possiamo trattarle un po’ come fossero lo stesso strumento. Entrambe montano una coppia di humbucker DiMarzio e meccaniche autobloccanti (4+2). Nell’articolo non parleremo quindi di caratteristiche sonore, ma ci soffermeremo sulle sensazioni out of the box, quelle insomma che ci trasmettono questi strumenti appena li si prende in mano e li si pastrugna un po', prima ancora di collegare il jack all’amplificatore. Lasceremo quell’onore e onere a Michele Quaini nei prossimi giorni.

Music Man contro Sterling: 2mila euro sotto le dita

Cerchiamo quindi di trovare dove sono andati a finire questi 2mila euro che, ne siamo certi, non sono tutti da imputare alla diversa provenienza geografica. Questa ha sicuramente il suo effetto sul cash ma anche, solitamente, sulla qualità delle finiture. C’è da dire che, prima ancora di giungere agli strumenti in sé, il Panzer corazzato che la made in USA si ritrova al posto della custodia lascia ben sperare sulla differenza tra le due. La Sterling si presenta con una borsa morbida (e questo è un bene) realizzata con cura e imbottita al punto giusto, ma comunque un fuscello, a confronto con quella in ABS della Music Man.

Il peso dei due strumenti è diverso, la bilancia pende verso la Sterling, ma questo è da imputare alle diverse essenze scelte per il body. Passiamo però la mano sul manico ed è qui che tutto appare chiaro. Il legno, sulla carta, è lo stesso. La realtà vuole che quello made in USA si uno splendido pezzo di acero birds eye con finitura a olio. Il lucido è dato solo sulla paletta reverse, con uno stacco tanto netto quanto preciso, che fa sembrare il trasparente quasi un guanto. La vista è compiaciuta, il tatto ancora di più. L’aspetto opaco e ruvido trae in inganno, il profilo è delicato come la pelle di un bambino e permette una scorrevolezza estrema.

Quello della Luke invece, pur essendo realizzato con cura e precisione, ci riporta con i piedi per terra. La finitura matte è altrettanto comoda e confortevole, ma la sensazione non è nemmeno lontanamente paragonabile a quel piacevole sentore di legno americano. Ma non è finita qui. Alla goduria data dalla verniciatura a olio, va aggiunta quella regalata dai tasti jumbo tanto levigati e lisci da non essere minimamente percepiti sui bordi del manico, come se non ci fossero. Con questo non vogliamo dire che quelli della Sterling siano delle lame di rasoio, sono anch’essi rifiniti con cura, ma in ogni singolo fret della Morse c’è l’intera perizia di tutti i 22 tasti della Luke. Senza il termine di paragone, l’indonesiana se la sarebbe cavata senza il minimo problema, ma il confronto evidenzia la superiorità dell’americana.

Chiudiamo con le meccaniche. Entrambi gli strumenti montano un set di autobloccanti, molto simili nell’aspetto, quasi identiche, finché non le si ruota. Basta mezzo giro per accorgersi di quanto quelle montate sulla Y2D siano più morbide e allo stesso tempo solide. Quelle Sterling sembrano decisamente più grezze nell’azione e leggermente meno precise. Sembra si stia sfociando nelle pippe mentali, e in parte è anche vero. Basta dare qualche legnata alla leva del tremolo della Luke, fare un paio di dive bomb per capire che le chiavette sono solide quanto le altre, solo forse leggermente più economiche. Sono comunque autobloccanti e precise, in linea con il prezzo dello strumento.

Music Man contro Sterling: 2mila euro sotto le dita

In tutto questo, direte, non si è parlato minimamente del suono. La cosa è voluta, proprio perché il nostro obbiettivo era soffermarci sulle differenze tattili e visive, quelle che catturano la nostra attenzione quando camminiamo tra gli scaffali del nostro negozio di fiducia, prima che le nostre pupille esplodano nel leggere il cartellino del prezzo.

Possibile quindi che 2mila euro si nascondano solo in queste differenze, magari piccole, ma fondamentali, quasi certo ci verrebbe da dire. A queste vanno poi aggiunte le peculiarità timbriche dovute alla migliore selezione di legni e materiali, ma di questo ci occuperemo singolarmente nelle due recensioni.

Non siamo una rivista scientifica e non esistono veri esperimenti per stabilire con precisione se valga la pena spendere 2mila euro in più per uno strumento made in USA rispetto a uno made in Indonesia. Per il momento quattro sensi su cinque ci stanno spingendo tra le braccia di Steve Morse, mentre il nostro portafogli continua a piangere, pieno com’è di scontrini e monetine.


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