di Pietro Paolo Falco [user #17844] - pubblicato il 30 dicembre 2015 ore 20:30
C'è chi dice non fosse un gran bassista e forse ha ragione, se lo si guarda dal punto di vista tecnico. D'altro canto, parafrasando qualcuno, non puoi giudicare un pesce per la sua capacità di arrampicarsi su un albero.
Lemmy Kilmister, morto il 28 dicembre scorso, non è mai stato un bassista convenzionale. Il suo Rickenbacker ha sempre sparato fuori linee distortissime, uniche per suono e tiro, capaci di portarti avanti un brano intero su poche note che rotolavano inesorabili come i pistoni di una muscle car a bassi giri.
Quando un artista che stimavi particolarmente viene a mancare, è inevitabile andare a farsi un giro alla ricerca di vecchi video, successi, b-side e anche qualche intervista, e alle volte viene fuori una perla capace di riassumere il personaggio e la sua musica in un solo minuto.
Questo era Lemmy, un Rickenbacker splettrato come se non ci fosse un domani dentro un full stack con tutte le manopole al massimo. Era diverso e lo sapeva, ci suonava e ce le suonava con un menefreghismo unico, e con la capacità di spiegare la sua essenza in meno di un minuto. E se non lo capivi, peggio per te.