Il body realizzato in tiglio (Canadian Laurentian Basswood per essere precisi) ospita gli ampi scassi asimmetrici che da una cinquantina d’anni caratterizzano la Stratocaster e tutti gli strumenti a lei ispirati, come la Godin Session in prova oggi.
Come da tradizione, il manico è avvitato con quattro viti ed è realizzato in acero (canadese, ovviamente), così come la tastiera a 22 tasti. Questa, a richiesta, è disponibile anche in palissandro. Il neck ha un profilo a C, molto arrotondato, che si conclude sulla tastiera, per creare un tutt’uno che rende la Session davvero comoda e confortevole.
Il peso è contenuto e lo strumento è ben bilanciato, non ci si stanca a imbracciarlo, ne tantomeno ci si stanca a sentire quello che esce dalla 4x12 in sala di ripresa, ma di questo ce ne occuperemo a breve.
L’elettronica scelta è sempre made by Godin. A Robert piace giocare in casa, ed ecco quindi comparire un trio HSS composto da due single coil GS-1 e un humbucker sempre Godin splittabile. Questi sono controllati da un selettore a cinque posizioni e due potenziometri, uno per il tono uno per il volume.
Anche l’hardware è progettato e realizzato in Canada. Le meccaniche e il tremolo sono sempre marchiati con una grande G e sono davvero solidi. Il ponte, soprattutto, anche dopo essere stato strapazzato dalle mani di Michele per un bel quarto d’ora non ha dato segni di cedimento, così come l’accordatura che è rimasta stabile fino alla fine del test.
Togliamo quindi lo standby dalla Plexi e diamo fuoco alle polveri. Il clean si riesce a tenere a bada, soprattutto quando si utilizza il pickup al manico. Questo è rotondo, con una sufficiente dose di basse, che si attenua di molto quando si somma il magnete centrale. La posizione due è gustosa, personale e brillante, ma anche il secondo single coil fa il suo dovere quando lo si utilizza da solo.
L’humbucker è perfettamente bilanciato con gli altri due. Nonostante sia più silenzioso, grazie alle due bobine in controfase, non ha un output esagerato. Questo però è sufficiente per cominciare a far crunchure le valvole. Splittandolo si ottiene un sound da single coil davvero credibile. Il twang non gli manca, anche quando si passa nella posizione quattro, dove il sound Slowhand c’è tutto, anche se sulla paletta non c’è una grande F, ma la lettera successiva.
Accendiamo un overdrive e la Godin sa tirare fuori le unghie, soprattutto utilizzando l’humbucker. La cattiveria non le manca, spinta da medie potenti, aggressive. È uno strumento con una voce sparkling, che sa bucare il mix, ma che chiudendo il tono e con il pickup al manico può dare delle ottime soddisfazioni anche quando ci si vuole dare un po’ al jazz.
La Session è uno strumento che sa dare delle ottime soddisfazioni, soprattutto quando si guarda il prezzo scritto sul cartellino che non supera i 600 euro. Con le caratteristiche messe in campo e quella scritta made in USA sul retro della paletta, potrà sicuramente interessare anche i palati più fini. Con tutte le colorazioni disponibili, poi, potrà accontentare davvero tutti.
Godin è un marchio distribuito da
|