di MuddyWaters [user #47880] - pubblicato il 24 novembre 2020 ore 11:00
Decidere di rompere col passato e con i canoni del vintage apre una serie di possibilità per la personalizzazione di uno strumento. Lo racconta un nostro lettore con la sua Custom 24 "hot rod".
Chi vi scrive è un “vintaggiomane” fissato. Uno che ha sempre suonato Fender Stratocaster e Gibson SG, che le ha studiate nel dettaglio e che è sempre stato un fondamentalista. Uno di quelli che sbavano sulle chitarre vintage e storcono il naso quando la “tradizione” viene stroppiata anche minimamente. Per tanti anni sono stato così e questa cosa mi ha costretto a scendere a compromessi in tantissimi casi e a sopportare accordature ballerine, suoni sottili, action alte e via dicendo.
L’anno scorso, per qualche strano motivo, la vecchiaia ha cominciato a colpire anche me e mi sono avvicinato a generi musicali diversi. Da “bluesman hendrixiano” appassionato ho cominciato ad ascoltare generi più pesanti e ad apprezzare strumenti più moderni e accorgimenti diversi. L’evoluzione della specie mi ha colpito e ho cominciato ad “accettare” chitarre di stampo molto più moderno perché sostanzialmente ascoltavo metal ed era abbastanza fastidioso fare un dive bomb con la mia Road Worn 50’s Strat che perdeva l’accordatura o suonare i Metallica con dei pickup vintage AlNiCo III. Quindi ho adocchiato una Cort con pickup EMG e ponte Floyd Rose che mi ha stregato.
Il motivo semplicissimo e, secondo me, naturale è che una chitarra moderna tu la prendi e la suoni. Punto. Non c’è da accordare continuamente, non c’è da stare là a impazzire a cercare di togliere rumori di single coil e ronzii di mani di quando le togli dalle corde e non ci sono action da arpa perché tiri un bending e si strozza la corda. Niente. Corde rasoterra, niente rumori, sustain infinito e tanto divertimento.
Giocare però con questo strumento mi ha posto un grosso problema: è una chitarra molto violenta. Sebbene tu ci possa suonare quello che ti pare coi pickup EMG, mi mancavano quei suoni: il suono caldo e avvolgente di un pickup da Stratocaster e il croccante di un PAF di quelli tradizionali. Complice la mia laurea e il fatto che adesso mi arriva la posta indirizzata a un certo dottore che io non conosco ma che ha lo stesso mio nome e cognome, ho avuto a disposizione un po’ di fondi da investire un po’ su quello che mi pareva.
Inizialmente l’idea era stata quella di una Stratocaster più moderna. Alla fine bastava prendere una di quelle, a rigor di logica, con una tastiera più piatta, un ponte più moderno e meccaniche autobloccanti. Niente di più facile e lontano dalla realtà.
Presi una Vintera 50’s Mod Stratocaster della quale mi sono arrivati due esemplari entrambi estremamente lontani dall’essere uno strumento con il cartellino del prezzo da 1000 bomboloni. Mandati indietro di corsa.
A quel punto, scottato estremamente dalla Fender che mi aveva deluso da morire, decisi di andare su qualcosa di totalmente diverso, qualcosa di nuovo. Come alla fine feci con la Cort e mi trovai infinitamente bene.
La scelta cadde sulla PRS e volevo la più lussuosa e meravigliosa che potessi permettermi.
La SE Custom 24 Burled Ash mi ha stregato subito e, guarda caso, informandomi avevo anche scoperto che era costruita in Indonesia da una certa “Cor-Tek”. Cosa poteva trattenermi dal tirare il grilletto visto che avevo anche scoperto che era praticamente costruita dalla stessa gente che aveva fatto precedentemente la mia meravigliosa Cort? Fuoco alle polveri!
Quello che mi sono trovato di fronte, di base, era un legno degno delle chitarre meglio realizzate e più belle che io avessi mai visto. Il problema stava nell’elettronica e nell’hardware. Era ottimo anche in origine, per carità. Ma io sentivo che quella chitarra potesse dare estremamente di più.
Quella tastiera perfettamente rettificata poteva suonare meglio, quel top in frassino marezzato meritava veramente la “serie A” dell’hardware e dell’elettronica. Poteva veramente diventare la MIA chitarra. Quella definitiva. Perché, alla fine, non ero legato alla tradizione. Potevo farci quello che volevo. Non dovevo stare attento a rispettare delle regole, dei retaggi. Ero libero.
Così mi sono messo in cerca di un ponte che fosse migliore dell’originale tutto in zinco della PRS SE e che con mio sommo stupore ho appreso che zio Paul vende alla modica cifra di 150 bombolotti.
Non che fosse male. L’originale era un ponte semplicemente di buona fattura alla pari di un qualunque Wilkinson. Però, ripeto, io volevo la “serie A”, il top del top, la fantascienza. Così, cercando cercando, trovai questo artigiano di Hong Kong che ha questo meraviglioso marchio che si chiama Aumsen che realizza parti per chitarra in ottone, alluminio e acciaio. Tra le cose (poche purtroppo) che offre c’era questo meraviglioso ponte monoblocco in ottone proprio per PRS con le sellette in ottone e le viti pivot in acciaio. Bello, lucido, con una meravigliosa alternanza molto “posh” di cromature e dorature.
Inizialmente ero un po’ diffidente ma quando mi è arrivato è stato amore. La chitarra ha cominciato a risuonare come una campana e ha anche guadagnato un sustain infinito.
Il ponte era fatto. Ora mancava da risolvere il problema dell’accordatura che, per quanto accettabilmente stabile, non era congelata e a volte dovevo ritoccarla mentre suonavo.
Meccaniche e capotasto, ovviamente, erano i colpevoli.
Il capotasto originale della PRS è in grafite ed è di ottima qualità. Peccato che era formato estremamente male ed era fatto per le .009. Utilizzando le .010 Pyramid NPS la prima cosa da fare era sistemare lo spessore dei solchi. Poi aveva le corde molto incassate nel materiale e quindi ho abbassato la parte superiore del capotasto per tirare un po’ fuori le corde. Già così l’accordatura teneva molto meglio.
Poi mi sono messo in cerca di un set di meccaniche che fossero un ricambio “drop in”. Le alternative erano Grover Locking Mini Rotomatics, PRS SE Locking e Schaller M6 Mini. Scelsi le Grover perché mi sono sempre trovato bene con loro, Schaller avrei montato gli straplock a breve e sarebbe stato estremamente scontato montare le meccaniche PRS che secondo me sono estremamente superprezzate. Avevo tentato di montare delle Vanson ma i fori non combaciavano e andavano praticamente tutte storte. Quando poi mi sono arrivate le Grover, ce le ho buttate sopra e: miracolo! Sembra un Floyd Rose per quanto l’accordatura è congelata.
Per un po’ l’ho tenuta così. Mi ero promesso di mettere mano all’elettronica appena avessi potuto. L’elettronica originale, pickup compresi, non era male, almeno a primo impatto. Ma ancora: io volevo la fantascienza. Non aveva senso avere una chitarra “personale” con due semplici humbucker generici. Non che suonassero male, ma non erano i miei. Erano due humbucker AlNiCo V come quelli che stanno sulla gran parte delle chitarre elettriche e a me mancava fottutamente il suono del manico della Stratocaster quando suonavo blues. Così mi sono ricordato di una mia vecchia amicizia, un nobile e bravo artigiano italiano che fabbrica pickup: Alberto di Dreamsongs Pickups.
Con lui si è discusso e si è deciso di creare un set ad-hoc costituito da un humbucker PAF AlNiCo II per il ponte e un pickup al manico particolare che fa lui che è un humbucker la cui bobina “master” è un pickup da Stratocaster. Il risultato è che splittato è a tutti gli effetti un pickup da Stratocaster. Me lo sono fatto fare con le specifiche di un late 60’s grey bobbin per avere un suono caldo, avvolgente e non troppo delicato, anche per non sfigurare con l’humbucker al ponte.
Coronamento del sogno sono state tutte le viti color oro e le cover nickel silver che si sposano perfettamente con l’alternanza dei colori del ponte.
A tutta questa meraviglia c’era solo da affiancarci un’elettronica ugualmente fantascientifica. Così ho scelto un paio di potenziometri CTS DPDT da 500K logaritmici per splittare entrambi i pickup indipendentemente dei quali, quello al manico, l’avrei cablato al contrario per farlo funzionare normalmente come single coil; un selettore a tre posizioni Goeldo con tutta la “contatteria” placcata oro; un jack PureTone placcato oro con doppi contatti sia per la massa sia per il segnale; un condensatore da 180pF per il treble bleed come insegna zio Paul e un condensatore da scarsi 7nF al tono per avere un taglio solo sulle alte frequenze lasciando nel segnale le medie. Il tutto poi l’ho collegato con cavo d’argento da gioielliere da 0.80mm tranne che per il jack al quale va un cavo schermato microfonico Sommer.
Il risultato è l’Enterprise delle chitarre. Il suono è il più limpido e preciso che io abbia mai sentito, mordente quando serve ma allo stesso tempo caldo e avvolgente.
Tirando le somme il pickup al manico è caldo, nasale e blues come il pickup al manico di una Stratocaster e in modalità humbucker tira fuori un suono molto vellutato, caldo e avvolgente di un pickup adatto al jazz. Al ponte invece ho il suono di una SG con il quale riesco a fare rock, hard rock e metal: un suono croccante, aggressivo e penetrante sebbene assomigli più al suono di un single coil che al suono di un humbucker. Splittato assomiglia al ponte di una Stratocaster con il quale posso fare rock n roll e surf rock. Alberto di Dreamsongs mi aveva detto che l’AlNiCo II al ponte splittato non avrebbe suonato granché e mi sconsigliava proprio di farlo con i cinque cavi per lo split. Ma io tengo la capa tosta e infatti a me piace tantissimo.
Poi ci sono tutti i suoni di mezzo che sono meravigliosi. Speravo di avere qualche posizione di mezzo della Stratocaster ma alla fine sembra più simile al centrale della Telecaster. Poco male. Suona ugualmente in maniera incredibile.
A conti fatti adesso ho la MIA chitarra, diversa da tutte le altre e "custom" non solo nel nome. Questa è la soddisfazione più grande. Non sento più il bisogno di essere legato a una Stratocaster o a una SG come una volta. Ho tutto là e in buona parte l’ho fatto e progettato io.
Se solo l’avessi fatto prima, a saperlo.