La Jackson Soloist è stata una pietra miliare del suono metal. Con le sue linee aggressive, la paletta a punta e il look da dura, è stata spesso al centro dei suoni di chitarra più tosti di sempre.
Negli anni si è evoluta, è cambiata, ma alla fine è rimasta sempre fedele a se stessa e anche in quest'ultima versione SLX ha tutte le carte in regola per essere assunta in una ditta di demolizioni.
La SLX si presenta in tre colorazioni: Rocket Red, Silver Burst e Satin Black. Quest’ultima presenta un harware dorato scintillante, mentre per le altre due colorazioni è stato scelto un più sobrio nero.
Le forme restano quelle canoniche. Il body in pioppo è attraversato dal manico in acero con rinforso in grafite e scarf joint. Una manico through body difficilmente si trova su chitarre in questa fascia di prezzo, ma Jackson ha optato per la solidità e un serraggio totale tra le parti.
La vera sorpresa è nella tastiera a 24 tasti con radius compound da 12" a 16": l’essenza scelta infatti è l’alloro, un legno che va a sostituire il palissandro messo in crisi dalla vicenda CITES, ora rientrata, ma sempre attuale.
La Soloist è una chitarra dura e aggressiva e monta una coppia di humbucker perfetti per l’occasione: i Duncan Designed HB-103, nella versione ponte e manico, realizzati da Seymour Duncan sulla base dei Distortion. Questi magneti ceramici sono sovravvolti così da avere un output bello tosto senza però diventare estremamente compressi. La cattiveria giusta per mettere a dura prova le distorsioni ma senza ritrovarsi con clean troppo freddi e brillanti.
Il selettore è un semplice a tre posizioni. Probabilmente avremmo preferito un cinque posizioni per aumentare un po’ le possibilità timbriche, ma Jackson ha optato per l'essenzialità a tutti i costi.
Il ponte è un Floyd Rose originale, sinonimo di tenuta di accordatura anche con i dive bomb più esagerati. L’abbiamo messo sotto torchio nella prova e si è comportato davvero bene. Il sound potrebbe sicuramente trovare giovamento da un blocco inerziale in ottone, più pesante rispetto all’originale che, per via della fascia di prezzo, è di tipo standard.
La Soloist si trova veramente a suo agio nel metal. Il suono è aggressivo, potente, sempre scattante, con un attacco veloce e il giusto output. Le sei corde sono equilibrate, bassi e alti sono egualmente presenti e, nonostante sulla carta dovrebbe trattarsi di uno strumento estremo, si riesce anche a giocare con il volume e sfociare in crunch più teneri e clean appena appena sporcati da un tocco di distorto.
Sotto le mani scorre veloce, il manico è sottile, la tastiera realizzata con cura, nessun tasto sporge fastidiosamente e il setup, seppur non al 100%, è già ottimo appena tolta dalla scatola.
Per circa 700 euro, fa la sua porca figura. È uno strumento che si difende bene sia dal punto di vista sonoro sia da quello estetico, farà sicuramente la felicità dei metallari più duri quanto degli shredder moderni più fighetti che apprezzeranno l’hardware dorato che dona alla SLX un look pomposo. |