L' di Line 6, dal rack alla versione Floor, passando per le più pratiche fino alle piccole e , nel tempo si è riservato un posto fisso nei setup di innumerevoli professionisti. A ben vedere, la macchina è stata capace di posizionarsi in modo trasversale sul mercato, trovando collocazione anche nei rig di chi si muove tra club più piccoli, lavora in sale d'incisione, produce la propria musica in home studio o semplicemente si dedica alla chitarra per hobby.
È raro che un prodotto, in particolare se legato alla tecnologia digitale, riesca a soddisfare così tante esigenze, senza risultare troppo complesso per l'appassionato né limitante per un turnista e produttore. Per questo è interessante conoscere più da vicino l'approccio di un professionista del calibro di alla macchina Line 6.
Nel corso della sua carriera, Lapo Consortini ha collezionato collaborazioni di primissimo livello, affiancando artisti come Fiorella Mannoia, Giusy Ferreri, Marco Masini, Annalisa, Noemi, i Modà, Gianni Morandi. E poi ancora ha avuto ruoli nei recenti Festival di Sanremo, ha prodotto o suonato in dischi di Mietta, Finizio, Patty Pravo, e contribuito alla nascita di innumerevoli successi anche sanremesi.
Lapo sfrutta Helix sia dal vivo sia in fase di registrazione, per le pre-produzioni in studio e per le considerevoli possibilità di editing del suono grazie a espedienti come il reamping digitale, tema del video che ha preparato per tutti gli utenti della sua pedalboard.
Incuriositi, abbiamo raggiunto Lapo Consortini per approfondire la sua visione del mondo digitale e della musica in generale, tra praticità e qualità pura su e giù dal palco.
Accordo: Generalmente, quando si parla di digitale, si insiste sulla comodità live.
Invece, da produttore e musicista avvezzo allo studio di registrazione, ci aiuti a mettere a fuoco gli aspetti in cui una macchina come Helix può agevolare un processo come quello di registrazione, produzione o pre-produzione, arrangiamento in studio?
Lapo Consortini: Il digitale ha stravolto tantissimi aspetti dei processi creativi, a partire dalla fotografia fino alla musica – un tempo un fotografo centellinava gli scatti perché le pellicole costavano, predisponendo un grosso lavoro di studio e preparazione, adesso ci si può permettere di fare centinaia di scatti perché una SD Card non costa molto ed è riutilizzabile, per poi lavorare successivamente di post produzione.
Succede la stessa cosa nella musica, e in particolare relativamente alla produzione in studio – adesso è possibile registrare qualcosa velocemente per capire la direzione dell’arrangiamento e poi successivamente si può ritoccare il suono in maniera più pesante – prima si spendeva molto tempo a cercare il suono giusto e l’esecuzione perfetta perché una volta registrato non si poteva stravolgere il suono. Adesso Helix è, per me, un sistema (a partire da Helix Rack che uso in studio, fino al plugin Helix Native) che consente nel suo insieme di ritoccare tutto fino alla fine. Non ho certo abbandonato le mie testate valvolari, ma quando si lavora a tanti progetti in parallelo e si passa da uno all’altro nel giro di pochi minuti, un sistema come Helix agevola il lavoro. Per esempio spesso mi capita di usare Helix Rack per registrare con zero latency una parte di chitarra – comodamente creo il suono con il mouse tramite l’interfaccia software Hx Edit – e registro sia il suono processato da Helix come sto sentendo, sia il segnale DI della chitarra. Come ho mostrato nel video, successivamente applico in insert sulla traccia del segnale DI il plugin Helix Native, nel quale trascino esattamente il preset che ho creato su Helix Rack ottenendo lo stesso suono (ovviamente è necessario aggiustare il livello del segnale di input del plug-in in modo da ottenere esattamente lo stesso suono). Questo mi consente di ritoccare o anche di stravolgere drasticamente il suono di chitarra ottenuto, semplicemente giocando con Helix Native – per esempio cambiando amplificatore e sostituendolo con una coppia ‘testa/cassa’ per poi aggiungere un chorus o magari sostituendo un riverbero con uno più corto dando libero sfogo alla fantasia creativa.
A: Tu appartieni a una generazione che si è fatta le ossa e le orecchie sugli amplificatori, sulle valvole; assemblando, alimentando, cambiando dozzine di pedali, pedaliere, multieffetto. Questo fa sì che tu ti muova sul digitale con un riferimento concreto, autentico, vissuto dei suoni che stai cercando, simulando, profilando... ma le generazioni più giovani, che partono dal digitale senza un background analogico?
LC: Le generazioni più giovani, secondo me, sono sempre più avvantaggiate perché le nuove tecnologie appartengono più a loro che a noi – è più semplice nascere dentro un’era tecnologica che mettere in discussione le tue conoscenze e apprendere qualcosa di nuovo. I giovani nascono con il cellulare in mano, tablet e digitale ovunque. Quindi per loro è normale che sia così – i giovani più ‘scaltri’ e curiosi se ne andranno su YouTube a studiare come facevano i mostri sacri degli anni addietro a fare i suoni e li ricreeranno con dieci click. Per noi sarebbe stato quasi “pornografia” poter vedere un video di Gilmour o di The Edge che spiega il suo setup. Quando qualcuno trovava qualche raro filmato o intervista iniziava il giro dei VHS per farlo conoscere agli altri per discuterne insieme, adesso un link, un clic e via – quindi viva i giovani che partono da questo e che con la loro creatività andranno anche oltre.
A: Viceversa ci sono suoni, sonorità, estetiche sonore che sono proprio figlie delle nuove macchine digitali e che non sono necessariamente derivative degli amplificatori?
LC: Assolutamente sì, perché comunque il mio istintivo approccio nel fare un suono in Helix è lo stesso approccio che avrei montando una pedaliera vera e cablando il mio amplificatore – ossia userei Helix esattamente per modellarei il mio setup analogico. Invece un millennial vede Helix come un una sorta di tappeto dove si possono disporre dei “blocchettini” e collegarli come meglio si crede, senza certi dogmi che invece noi abbiamo acquisito con le nostre esperienze in sala prove. L’importante è che suoni bene, o quanto meno sia il giusto suono al servizio dell’arrangiamento che si sta facendo.
A: Raccontaci di una volta in cui il digitale ti ha risolto un lavoro in cui la strumentazione tradizionale semplicemente non avrebbe potuto aiutarti!
LC: Ero in tour con Annalisa nel 2016, provenivo dal tour del 2015 dove la sonorità era molto rock e avevo un setup stereo con due teste e due casse e un G-System collegato col metodo dei quattro cavi per sfruttare sia l’effettistica in pre sia in post. Nel 2016 invece la sonorità diventò molto più elettronica e variopinta, c’erano tantissimi suoni estremamente diversi di chitarre, amplificatori e anche guitar synth – allora decisi di utilizzare Helix (c’era ancora uno dei primi firmware). Avevo Helix Rack con cablati ben quattro input, sul primo c’era il trasmettitore radio della chitarra elettrica, sul secondo la chitarra acustica che stava sul treppiede, sul terzo una lap steel e sul quarto un ukulele. Avevo fatto i vari preset in modo che ciascuno di loro aprisse solo un input e facevo pilotare i loro cambi via MIDI dal mio fidato Cubase mentre giravano le sequenze. Considerate che all’interno di una stessa canzone iniziavo con l’ukulele con un preset acustico e un bel riverbero e delay corto, per poi continuare con la lap steel con tantissimo drive e modulazioni, e magari terminavo con l’elettrica power, il tutto senza mai toccare nessun pedale e preoccuparmi di abbassare nessun volume, ma solo concentrato sull’esecuzione o facendo il giro del palco.
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A: Talvolta si pensa al digitale come a un mondo soggetto inevitabilmente all’obsolescenza. Eppure Helix, dopo quasi sette anni di onorata carriera, è ancora un riferimento fortemente concorrenziale. A tuo avviso, che ruolo giocano in questo i continui aggiornamenti firmware?
LC: Un ruolo fondamentale. Come dicevo, nel primo firmware non c’erano le snapshot e quando si cambiava preset le code del suono venivano tagliate, quindi mi ero inventato degli escamotage per ovviare all’interruzione brusca del suono.
Adesso vedo un continuo miglioramento dell’usabilità del sistema nel suo complesso tra hardware ed editor software, nonché continui inserimenti di nuovi amplificatori e pedali.
A: Cosa vorresti vedere di inedito in un’ipotetica nuova versione, e cosa invece conserveresti a tutti i costi della macchina attuale?
LC: Vorrei il monitor touch, i Meter per misurare i livelli quanto meno di input/output, e aggiungerei anche qualche “blocchetto” da studio, tipo qualche bel compressore ed EQ che si utilizzano in studio, in quanto Helix e - soprattutto il modello Native - non è solo un plugin, ma un virtual studio che ha in sé un’enciclopedia di strumentazione per chitarristi e non solo.
Terrei invece assolutamente il suo routing che ti consente di ottenere veramente qualunque combinazione di strumentazione tu abbia in testa.
A: Cosa è indispensabile per te in Helix?
LC: Il fatto che ci sia tutto, sia facile e veloce da usare, e la garanzia di qualità dei suoni che LINE6 ti dà da sempre.
Considera che per esempio ho preso anche lo Stomp XL, che ho utilizzato nell’ultimo tour di Marco Masini con la chitarra acustica e classica. Ho dedicato un po’ di tempo comodamente seduto in studio a modellare il suono col Native, per poi trasferirlo sullo Stomp e ricevere feedback positivi da colleghi musicisti e fonici. |