Facciamocene tutti una ragione: il nostro tagliente punto di vista ha un qualche valore solo se sappiamo di cosa diavolo stiamo parlando. Poi però accade di provare un epidermico senso di distacco, di forte imbarazzo, nei confronti di qualcosa. A me succede con le tribute band: attenzione, non mi riferisco alle cover band dal repertorio monotematico (io stesso ho desiderato a lungo di suonare i Creedence con un quartetto, ma di cantanti adeguati non ne ho mai trovati in giro: se ci siete, battete un colpo), ma proprio a quelle formazioni che mettono in scena uno spettacolo-fotocopia, cercando di riprodurre nel minimo dettaglio lo show di un dato gruppo, spesso addirittura replicando un concerto preciso (per esempio i Queen a Wembley nell’86). Nel corso degli anni ho visto decine di tribute band: dai Cure con un Robert Smith assai stempiato ai Litfiba con un Pelù non proprio in forma, fino agli AC/DC con un Angus alto due metri, oltretutto incapace di un vibrato decente.
E poi c’è Vasco. Ecco, la tribute band di Vasco mi ha sempre fatto l’effetto di una parmigiana fredda al mattino dopo il caffè. Mi spiego: ho ascoltato molto Vasco Rossi, l’ho amato e, come molti di noi, da ragazzino mi sono sentito capito e “vicino” alla disillusione, al nichilismo e al forte senso di malinconia espresso da quei testi e da quell'attitudine. Piaccia o meno, il cantautore emiliano è un artista dalla sensibilità straordinaria. Con lui nel tempo hanno suonato musicisti di livello notevolissimo che hanno reso quei dischi (penso in particolare a C'È CHI DICE NO e a BOLLICINE), grazie anche a un eccellente lavoro di produzione, un benchmark che resiste nel tempo. Sul Vasco recente, dal punto di vista strettamente artistico, non mi pronuncio perché l’ho ascoltato poco. Il tema in ogni caso non è Vasco in sé, semmai il fare del rocker di Zocca un’imitazione (nella migliore delle ipotesi) da Tale e Quale Show.
Perché prendere un personaggio unico e tentare di riprodurne ed esasperarne l’accento, i tic, le movenze? Regolarmente, assistendo a quel tipo di spettacolo, ho provato una fitta di disagio, quella che si sente di fronte a una baracconata.
Una replica della Stratocaster di Stef Burns. Spesso, per non dire sempre, i chitarristi delle band tributo possiedono una Strat simile a quella che il californiano porta in tour con Vasco Rossi
Però, visto che qui siamo tra amici, una confessione mi tocca farvela. In una fresca sera d’estate, poche settimane fa, in un paesino del Molise ho assistito allo spettacolo di una tribute band di Vasco. L’ho fatto consapevolmente perché, sapete com’è, non è che la provincia di Campobasso offra un gran ventaglio di eventi musicali. Insomma, quello passava il convento.
Inizia il concerto e succede proprio quello che temevo: dal palco si sprecano gli “eeeeehh” e gli “e già”, mentre intorno a me si alza qualche coro "alè alè alè Va-scoo, Va-scoo", come se fossimo a San Siro. Sapete, tipo quelli che applaudono quando l’aereo atterra. E io mi sento male (qui una parentesi tocca aprirla: sulla fenomenologia del “Vaschismo” si sono scritti fiumi d’inchiostro, si sono raccontati i cinquantenni con marsupio, bandana sulla pelata e zaino Invicta con i testi scritti a pennarello, eppure - nonostante il tempo passi inesorabile - il clima da strapaesana nell’89 resta immutato).
Ok, vi avevo promesso un PERÒ: devo dirlo, lo spettacolo era così curato, e impreziosito da ospitate sorprendenti ed extralusso (Andrea Braido, Andrea Innesto, Daniele Tedeschi) che, nonostante credessi che avrei mantenuto per tutta la durata del concerto quel mio atteggiamento un po' snob, beh a un certo punto mi sono sentito emotivamente tirato dentro. Senza cercarlo, anzi dando per scontato che NON sarebbe successo, è arrivato un momento il cui l’aspetto grottesco dell’imitazione è passato molto in secondo piano e ha smesso di rappresentare un elemento di disturbo.
Per un paio d’ore ho fatto colazione con un toast del resto, ho immaginato che fosse sempre domenica e che tu fossi sempre libera, ho passato una giornata straviziata, ho riso un po’ di lei, ho vissuto una favola e alla fine mi sono sentito libero libero. Lasciatelo dire per una volta anche a me: ehhh già, è successo quello per cui una band del genere nasce e lavora. Sì, lavora, perché è chiaro che questa faccenda delle tribute band sposti parecchi soldi - altro tema assai scottante - e, se da una parte resto convinto che il proliferare di queste formazioni sottragga spazio a chi propone repertori e formule più originali, dall’altro non si può negare che alla base di un gruppo tributo di livello ci siano solide fondamenta fatte di studio, di preparazione e di maniacale attenzione ai dettagli.
Voi che ne pensate delle tribute band? Qual è la vostra esperienza? Rappresentano davvero l’unico modo per guadagnare decentemente con la musica live? |