Sembra quasi un proclama della Apple sull’ennesimo iPhone più potente di sempre ma, quando la promessa arriva da Jackson con lo slogan “Fast As F#*!” e di mezzo c’è una Soloist verde evidenziatore fatta in USA, l’attenzione degli shredder è garantita.
La è la novità Jackson per l’autunno 2022: la Soloist sbarca in territorio americano, con una costruzione di fascia alta, componenti scelti e una ricca serie di accorgimenti costruttivi e stilistici mirati a dare vita a uno strumento aggressivo, versatile, performante all’estremo che vuole unire sotto lo stesso stemma i rocker d’annata e i fanatici delle nuove tendenze.
Quando si è presentata l’occasione di metterci sopra le mani, non ce lo siamo fatti ripetere due volte.
Liuteria e suonabilità
Chi sceglie Jackson sa di poter contare su alcune certezze ben specifiche. Sulla American Series, tornano tutte.
La si basa su una costruzione neck thru con due ali in ontano a fare da body ai lati di una struttura centrale di acero in tre pezzi rinforzato alla grafite.
L’assemblato regala subito una sensazione di solidità e consistenza. Il tacco è praticamente inesistente per raggiungere tutte le posizioni sulla tastiera senza ostacoli e i contour sul retro permettono di sentire il body ben poggiato contro il corpo senza quasi avvertirne lo spessore.
La promessa di uno strumento veloce, improntato sul comfort e la performance, parte da ottimi presupposti, e la finitura satinata sul retro del manico fa il resto.
L’impressione continua quando si sposta lo sguardo verso i bordi della tastiera. Questa è in un ebano dai toni non troppo densi ma uniformi, con raggio compound che va da 12 a 16 pollici per 24 fret segnati da intarsi a pinna di pescecane rovesciati e con Luminlay sul bordo. I fret sono jumbo, un must per la categoria, ed è un piacere scoprire un’accurata lavorazione di smusso lungo tutto il bordo, con uno “spigolo” che si fa meno vivo per lasciarsi cingere dal palmo in un modo che sa di strumento già suonato e, in un certo senso, fa apparire l’insieme più maneggevole, come se la tastiera fosse meno larga di quanto non sia in realtà.
Fender, che nella sua famiglia di brand racchiude anche Jackson, aveva già sperimentato l’idea del rolled edge su strumenti ad altro marchio. Qui la tecnica funziona, ma sembra essere declinata in una versione meno tondeggiante, adattata alla suonabilità più “sleek” preferita da shredder e velocisti.
Si merita un pollice alto, senza dubbio.
Hardware e affidabilità
Con un Floyd Rose 1500, bloccacorde al capotasto e meccaniche bloccanti Gotoh MG-T, la SL3 della American Series è semplicemente impossibile da scordare.
Il ponte regge le sollecitazioni più violente, torna in assetto in un attimo ed è morbido a sufficienza da mettere sotto mano tutti i trick del caso. L’adozione di meccaniche locking potrebbe sembrare superflua, considerata la presenza di un capotasto bloccacorde, ma la scelta si fa apprezzare al cambio corde e nelle occasioni in cui, una volta bloccato il ponte, si decide di rilasciare il capotasto per esplorare accordature alternative. Potersi confrontare con drop tuning in pochi minuti, senza preoccuparsi di stirare di continuo le corde per evitare scherzi dalle meccaniche solitamente senza pretese che molti costruttori abbinano alle chitarre con Floyd Rose, è un gradito plus.
Elettronica e suono
Montati direttamente nel legno, come piaceva a maestri del genere del calibro di Eddie Van Halen, i pickup sono tre Seymour Duncan in configurazione HSS e ricalcano i timbri senza tempo che hanno cristallizzato lo stile della chitarra rock e metal tra gli anni ’80 e ’90.
L’humbucker JB TB-4 al ponte è un evergreen per chi vuole spingersi in distorsioni consistenti senza rinunciare al corpo sui puliti. Nella ricetta della American Series, dimostra un’anima tutt’altro che datata e affronta l’hi-gain puro con definizione, separazione delle note ed estremi di banda sempre piacevoli. I bassi sono asciutti, gli acuti mai penetranti, eppure tutto suona aperto e dettagliato.
Non da meno sono i due SSL-6 montati al centro e al manico con avvolgimento e polarità invertiti per cancellare i rumori di fondo nelle posizioni intermedie. Si tratta comunque di single coil d’impronta moderna, dall’output degno di nota e dal timbro a fuoco, che sostengono bene la saturazione senza generare mai ronzii eccessivi. Si sono fatti apprezzare un po’ in tutti i contesti, regalando suoni puliti puramente “ottantiani” e riservando sempre un’attenzione alla pulizia sonora, che anche sui distorti non rischia mai di slabbrare, con la giusta compressione per non sfigurare dinnanzi alla considerevole spinta dell’humbucker all’altro capo.
Sul piano dei controlli, la SL3 è da manuale, con un volume, un tono e un selettore a cinque posizioni.
Non ci sono push-pull e lo split dell’humbucker è demandato alle posizioni dello switch, per combinazioni originali che donano alla chitarra ancora maggior flessibilità. In particolare, il pickup centrale non è mai chiamato in causa da solo e viene miscelato ora col manico, ora con l’humbucker splittato, per posizioni intermedie gradite a chi vuole alternare aggressività hi-gain a parti clean dolci e ricche di colore.
Più che una “ascia”, si rivela una spada, un fioretto con tutto quello che un fanatico della performance potrebbe desiderare. Si spoglia di orpelli superflui sul piano estetico in favore di pochi accorgimenti estremamente in stile con la propria filosofia sonora, e sposta tutta l’attenzione su costruzione e componentistica. La SL3 è fatta bene, suona bene e si suona ancora meglio. È la prima della sua stirpe e ci auguriamo di sentire ancora parlare di Jackson made in USA nel prossimo futuro, perché la strada si prospetta lastricata di tante, tantissime note suonate a una velocità smodata. |