Dare una definizione del concetto di vintage è un'impresa complicata perché si pone a ridosso di un confine che, lungi dall'essere netto, è invece "liquido", plasmabile a seconda delle mode del momento e delle dinamiche del mercato.
Il termine, inizialmente attribuito quale denominazione generica per i vini d’annata di pregio, è divenuto di uso comune, per estensione, anche a prodotti diversi dal vino e, in particolare, è utilizzato per connotare oggetti d’epoca o di gusto sorpassato e démodé, che evocano periodi remoti o testimoniano lo stile di un certo periodo. Motivo per cui "vecchio" e "vintage" non sono sinonimi: tuttavia potrei azzardare a definire vintage un oggetto datato (e dotato) di particolare pregio, rispettando in tal modo la consonanza con l'etimologia del termine.
In fatto di vino, però, è abbastanza semplice stabilire dalle condizioni climatiche se una particolare annata debba considerarsi di pregio, mentre per le chitarre elettriche è evidente la mancanza di parametri oggettivi in ragione dei quali possa classificarsi come effettivamente vintage uno strumento. Allora so già che quello che sto per dire farà saltare in piedi i puristi, i tutori del Sacro Graal e gli specialisti del settore: se considerato nell'accezione più autentica della sua etimologia, il vintage per le chitarre elettriche non esiste.
Questa mia opinione muove dalla primaria considerazione che le chitarre elettriche più iconiche che hanno rivoluzionato la storia della musica moderna mainstream sono state principalmente Fender e Gibson. Entrambi i marchi hanno ancora oggi in catalogo modelli con lo stesso shape di settanta anni fa e dunque è ovvio che il concetto di vintage non possa riferirsi al loro design inconfondibile e unico. Il concetto di vintage più oggettivo possibile, allora, potrebbe riferirsi esclusivamente a qualcosa di estraneo rispetto allo strumento e cioè l’anno di produzione; ma in tal caso, dato che si è detto che stabilire in che modo un anno è diverso e migliore da un altro è oggettivamente impossibile, si creeranno inevitabilmente valutazioni soggettive del concetto stesso, pertanto inattendibili.
Pensiamo che la prima chitarra elettrica prodotta in serie da Fender (la Esquire, poi Broadcaster, poi Nocaster e definitivamente Telecaster) è stata immessa sul mercato nel 1950, successivamente la Fender Stratocaster è stata presentata nel 1954 e la Gibson Les Paul è in produzione dal 1952.
Al giorno d'oggi, uno strumento di quegli anni avrebbe circa 70 anni e tutti non avrebbero la benché minima esitazione a definirlo vintage. Ammesso che se ne trovi ancora qualcuno in vendita, il prezzo che attualmente si dovrebbe pagare per l'acquisto suggerirebbe di tenerlo successivamente in un caveau e di portarlo in sala prove o ai live avvalendosi dei servizi della Mondialpol.
Se fossimo nel 1971, invece, una Telecaster del 1959 avrebbe solo 12 anni. Parimenti, se fossimo nel 1975, una Fender Stratocaster del 1955 avrebbe 20 anni e, guarda caso, una Gibson Les Paul del 1959, se fosse il 1976, avrebbe 17 anni. Non ho inserito date a caso: la storia suggerisce che nel 1971 l'assolo di "Stairway To Heaven" fu registrato con una Telecaster del 1959, che il riff più inflazionato nei negozi di musica ("Whole Lotta Love") fu registrato nel 1976 con una Les Paul del 1959 e che la storica Fender Stratocaster Blackie di Eric Clapton, fu assemblata nel 1973 adoperando i pezzi di tre diverse Stratocaster di sedici anni prima (pagate ciascuna 100,00 dollari). Se non bastasse, aggiungo che in casa Gretsch Duane Eddy adoperò una G6120 del 1957 per registrare l'anno successivo, nel 1958, il brano "Rebel-'Rouser" e il mitico Carlos Santana, al concerto di Woodstock del 1969, utilizzò una Gibson SG il cui primo anno di produzione fu il 1961. Per non parlare, infine, di Jimi Hendrix, che ha reso iconica la Stratocaster dandole fuoco nel corso di un concerto nel 1967, che era il tredicesimo anno dalla introduzione del modello sul mercato.
Certamente sarebbe meglio abbandonarsi al romanticismo evocativo della leggenda e del mito, però bisognerebbe anche guardare oltre e farsene una ragione: nell'arco di tempo tra il 1950 e il 1970 i grandi maestri del rock non possedevano strumenti vintage, ma strumenti di serie che erano stati prodotti solo alcuni anni prima. Prosaicamente, gli strumenti adoperati per registrare tutti quei brani che ancora oggi sono universalmente considerati immortali nella storia del rock, erano dunque relativamente recenti e presumo che all'epoca nessuno avrebbe mai osato definirli vintage.
Conseguentemente, la nascita del concetto di vintage in relazione alla chitarra elettrica deve per forza appartenere a un'epoca successiva. Presumo che abbia iniziato ad affermarsi, quanto alla sua accezione commerciale, in maniera direttamente proporzionale all'accrescersi della fama dei grandi precursori del rock, successivamente agli anni '70, che continuarono a utilizzare usati di decenni prima semplicemente perché il nuovo appariva loro non più qualitativamente all'altezza dei rispettivi marchi.
In effetti, fintanto che il mercato resistette alla pressione della concorrenza asiatica a basso costo, gli strumenti furono preservati dalle logiche della massiva produzione in serie. Questo soprattutto allorché Fender fu ceduta a CBS nel 1965 e Gibson smise di produrre la Les Paul nel 1960, per poi riprendere nel 1968. Dopo l'arrivo dei marchi asiatici concorrenti, in ambito Fender-CBS per esempio furono apportate modifiche alle linee produttive tali da garantire una produzione di esemplari giornaliera maggiore rispetto al periodo precedente. Ciò si tradusse in una progressiva sostituzione del lavoro manuale con il lavoro dei macchinari, da cui conseguì la necessità di ridurre e standardizzare tutti quei pezzi che avrebbero richiesto costi elevati o troppo tempo per essere prodotti in serie. La Stratocaster CBS, ad esempio, si caratterizza per il famoso "palettone", per le meccaniche autoprodotte (con il logo F), per il ponte costituito da un unico pezzo di lega metallica pressofusa su stampo, per le nuove sellette anch'esse a stampo e più economiche, per il diverso numero di avvolgimenti del filo di rame dei pickup e per i poli magnetici più grandi e tutti ad altezza parallela tra loro.
Addirittura, furono i rispettivi marchi a tentare di porre rimedio alla situazione, iniziando a proporre ai grandi chitarristi dell'epoca i primi endorsment, con lo scopo di convincerli a adoperare strumenti nuovi al posto dei loro vecchi usati.
A quel tempo non esisteva il concetto di signature come oggi concepito, ma già di per sé stesso il processo associativo artista/chitarra generava la grande visibilità che necessitava ai marchi. Fu probabilmente il processo identificativo tra rockstar e strumento il fondamentale passo successivo che consentì al grande pubblico di interessarsi sia all'artista, sia alla sua chitarra.
In sostanza, nel ventennio tra il 1950 ed il 1970 l'elettronica, gli effetti, gli amplificatori, erano ai primordi e proprio questo, proprio la "penuria" di soluzioni elettroniche rese molto facile per i chitarristi e gli addetti ai lavori perfezionare, smontare, costruire e plasmare il timbro caratteristico di ciascuno strumento. In un secondo tempo, dal 1970 e grossomodo fino al 1990, a quel primo nucleo di innovazioni tecniche ormai consolidato si aggiunse la rivoluzione portata dall'elettronica, con l'introduzione massiva del transistor e degli effetti analogici o vetero-digitali. Infine, l'età dell'oro si esaurì definitivamente al tramonto degli anni '80, allorché fu raggiunto il limite della sperimentazione. Tutto era perfezionabile, ma le vere innovazioni cessarono, perché si era ormai saturato lo spazio creativo attorno al suono della chitarra elettrica. In quarant'anni di chitarra elettrica, si era partiti da Buddy Holly e si era giunti a Eddie Van Halen: inevitabilmente, salvo rare eccezioni, ciò che sarebbe venuto dopo avrebbe perso ogni connotazione pioneristica e ogni originalità.
Dunque, credo che ciò che oggi viene definito vintage non abbia alcuna attinenza con le caratteristiche o con le annate di una chitarra elettrica, ma sia invece il riferimento, l'omaggio, la mitizzazione degli strumenti adoperati da coloro che furono gli ambasciatori del blues e del rock, coloro per primi ebbero il genio e l'estro di creare con tali strumenti impressioni timbriche immortali. Precisamente, ritengo che tali primi standard timbrici, divenuti immutabili nelle generazioni a seguire, abbiano appunto favorito, nell'affastellarsi dei decenni, la tendenza a mitizzare le annate di produzione di quegli stessi strumenti con i quali furono creati. Ciò che è vintage non è più la chitarra e, in fondo, non lo sarebbe mai stata: vintage è il mito di quell’inconfondibile, pionieristico, particolare suono.
Certamente gli strumenti sono stati modificati e perfezionati, i cataloghi si sono arricchiti con modelli per ogni gusto, sono nate le versioni signature, le edizioni limitate e le custom shop. Del pari, i macchinari sono diventati sempre più precisi nei tagli, nelle fresature e negli avvolgimenti delle bobine dei pickup. È nato il fenomeno dell'after market, della personalizzazione. Infine, il digitale è stata l'atomica che ha spazzato via generazioni di valvole, coni, pedalini, multieffetti analogici, rack, testate e casse.
Tuttavia, con il trascorrere dei decenni si è assistito a un processo di imitazione. Dopo il 1990 circa (complice anche l'esaurimento di ogni originalità creativa) e pur a seguito delle numerose innovazioni introdotte, non è mai scomparsa l'esigenza di codificare e modellare il suono dello strumento moderno imitando il suono dei corrispondenti strumenti di quell'epoca d’oro.
Fender e Gibson propongono strumenti moderni che adottano pickup assemblati secondo le specifiche tecniche di quelli degli anni '50 e '60 e va citato per Fender il fenomeno delle reissue (esattamente identiche agli strumenti originali del tempo, per esempio una Telecaster del 1952) e delle VOS (Vintage Original Specifications, ossia specifiche originali dell'epoca) per Gibson, solitamente repliche di Les Paul dal 1958 al 1960.
Scattò allora la corsa all'acquisto dei modelli anteriori al 1965 o al 1968: solo che, nel frattempo, erano trascorsi decenni e gli strumenti di quegli anni ancora in circolazione erano sempre più rari. Per conseguenza, il tutto si tradusse in legge di mercato: tanta domanda, poca offerta e rialzo esponenziale dei prezzi di vendita. Infine, quando i modelli "storici" raggiunsero quotazioni impossibili e divennero riserva di caccia esclusiva di facoltosi collezionisti o di famosi professionisti, il semplice passare degli anni sulle successive generazioni di strumenti nuovi (che nel frattempo erano diventati a loro volta di venti o trenta anni prima) li trasformò in altrettanti pezzi rari, proposti in vendita con quotazioni talvolta ingiustificate, ma nuovamente accessibili anche ai semplici amatori.
Qualche esempio arriva dal web: a fine luglio 2021 a Bologna si proponeva in vendita una Gibson Les Paul Standard '54 del 1971 a 8.300 euro e una Fender Telecaster del 1969 a 6.900 euro; a Milano si proponeva in vendita una Gibson Les Paul Custom del 1985 a 3.190,00 euro e una Fender Stratocaster con finitura naturale del 1979 a 1.990 euro; nel febbraio 2021, in un negozio della provincia si proponeva in vendita un Stratocaster del 1975 a 4.200,00 euro. Per quanto riguarda la mia esperienza, la Stratocaster del 1983 che possedevo, meglio conosciuta anche come single knob Strat, nel 1993 la pagai usata, 750.000 lire, l'equivalente di 387,00 euro odierni. Nel 2022 una chitarra identica alla mia era proposta in vendita online al prezzo medio di 1.500,00 euro. All'epoca, cioè nel 1993, era un usato che aveva dieci anni, attualmente è un vintage che di oltre 39 anni. Poi, che la Stratocaster American Standard che acquistai nel 2011 fosse un altro pianeta rispetto a quella del 1983 con la quale la permutai o che la Stratocaster American Professional del 2016 e la Stratocaster 75th Anniversary del 2021 siano ancora migliori rispetto alla stessa mia del 1979 è irrilevante. Ecco il vintage.
Mi domando allora quali evidenze oggettive ci siano, se si esclude il semplice trascorrere del tempo, a conforto del fatto di qualificare vintage strumenti che apparentemente non possiedono un particolare pregio. Dato che a tale domanda non c'è risposta plausibile, è evidente che sono state le logiche di mercato, le leggi della domanda e dell'offerta, unitamente a miti e leggende sapientemente alimentati e tramandati da coloro che ne hanno interesse, ad avere creato un filone commerciale fiorente al quale è stata data l'etichetta di vintage (basti pensare alla grossa parte del fatturato che viene generato anche dai modelli custom shop, quali le chitarre signature o tribute, le versioni VOS e reiussue).
L'autoreferenzialità del mondo della chitarra, la riverenza delle generazioni successive di chitarristi nei confronti delle prime innovazioni e sperimentazioni con la chitarra elettrica, la tendenza a suonare sempre la stessa musica da 50 anni, i collezionisti, sono stati tutti elementi che hanno contribuito a creare il mito delle migliori annate degli strumenti e i loro relativi prezzi (stellari).
Il fenomeno del vintage non ha mai seriamente affrontato il problema di giustificare, attraverso argomenti persuasivi e dati oggettivi, il perché un dato strumento di un dato anno sia necessariamente migliore di quello di un altro anno o periodo. È diventato semplicemente marketing.
Così, l’unico modo che trovo per giustificare oggettivamente il concetto di vintage è quello di ritenere che si sarebbe affrancato dall'essere il metro identificativo del reale ed effettivo pregio tecnico di determinati strumenti nel corso degli anni e che si è trasformato in un immutabile tributo collettivo, o in un atto di riverenza collettiva, nei confronti degli strumenti di una ben precisa e identificabile epoca musicale: il trentennio 1950-1980, considerato il Valhalla del rock e della chitarra elettrica.
NdR: volentieri pubblichiamo questo articolo inviato da un lettore, ma sottolineiamo che i contenuti rispecchiano esclusivamente il pensiero dell'autore. |