La progressiva diffusione dei sistemi digitali, i software sempre più intuitivi e alla portata di tutti, le app da smartphone ancora più semplici e immediate, la facilità e la gratuità con cui si accede alle backing track, la possibilità di avere un palco virtuale sempre a disposizione (cioè i social sui quali possiamo caricare, in un attimo e gratis, video registrati sempre meglio) ecco, questi sono solo alcuni dei fattori che stano stanno contribuendo a svuotare le sale prova, che infatti - perlomeno nelle grandi città - chiudono o faticano ad andare avanti. Aggiungeterci poi alcuni dati "sociologici": la gente suona meno di prima, per scarsità di tempo e perché il rock ha meno appeal; i ragazzi, con le dovute e benedette eccezioni, sono meno interessati alle chitarre e alla "musica suonata"; la gloriosa generazione che si è formata tra gli anni '60 e '70 ha smesso di imbracciare gli strumenti "per sopraggiunti limiti di età" (ovvio, qualcuno resiste, ma si tratta di qualche sparuto "ultimo giapponese").
In questo scenario, non proprio confortante, sento spesso puntare il dito contro "quelli che suonano in cameretta", condizione additata con orrore o sarcasmo da coloro che invece hanno una band (o più di una) e vanno in sala prove "come si faceva una volta". Provare con il gruppo è qualcosa di più nobile e più utile rispetto a suonare in casa e divertirsi con Logic, GarageBand, Instagram e TikTok? La risposta è forse un po’ meno ovvia di quanto sembri. Del resto, se uno suona per trovare una propria bolla di evasione (e nella maggior parte dei casi è così, visto che i professionisti sono pochi soprattutto tra le band), in che misura e perché farlo nella propria cameretta dovrebbe costituire un limite? A casa hai i suoni che vuoi, suoni quello che vuoi, lo fai quando vuoi e quando puoi, non devi correre e trasportare in giro i tuoi strumenti per poi magari sottostare a un repertorio scelto da altri, sopportare i volumi altrui, le imposizioni altrui, i difetti attitudinali e comportamentali altrui (che già i tuoi bastano e avanzano).
Qui sta il punto: Suonare con gli altri è faticoso per mille motivi pratici, ma per uno in particolare: tranne in rari, fortunati casi, ogni band è (da subito, oppure lo diventa col tempo) un luogo di estenuante diplomazia. Ho visto band, segnate per anni da livelli di tensione da Guerra Fredda, sbriciolarsi per il più banale dei litigi, altre spegnersi poco a poco a causa del malcontento di tutti, altre ancora resistere reggendosi su regimi dittatoriali da America Latina. Uno osserva queste situazioni e si chiede: ragazzi, ma chi ve lo fa fare?
Ormai basta poco per trasformare una camera in un piccolo ma completo studio di registrazione
Per me quello con la sala prove il sabato pomeriggio è stato sempre, da quando avevo sedici anni, un appuntamento sacro, era la sola cosa (ehm, ok, la seconda cosa) a cui pensavo per tutta la settimana. Anche quando facevo molto più schifo di quanto non faccia ora, l'idea di avere una band, di essere parte di una band, bastava a ricompensarmi di ogni sforzo. Ed è in sala prove prima - e su un piccolo palco poi - che ho imparato a rapportarmi con gli altri, a capire cosa significa suonare ad alto volume, uscire dal mix, giocare con le dinamiche, capire gli errori tuoi e sentire quelli degli altri, le incertezze di tutti, le accordature imperfette, sentire i punti deboli nell'esecuzione di un pezzo. È chiaro che nel mondo ideale uno dovrebbe sia studiare a casa (non mi riferisco a studiare il repertorio, quello lo diamo per assodato, ma all'esercizio e alla teoria), sia mettere in pratica con un gruppo, ma non tutti hanno abbastanza tempo per fare davvero tutto questo: perciò ciascuno sacrifica quello che ritiene meno essenziale, o che gli restituisce meno benessere. Nel mio caso, io mi diverto a imparare i brani a casa (giocando, perché no, con le backing track e occasionalmente postando qualcosa sui miei canali social o su qualche community di appassionati), rinuncio ahimé allo studio vero e proprio (do la colpa di questa rinuncia al tempo tiranno, ma la verità è che sono molto pigro) e NON abbandono la band. Anche se questo significa accettare compromessi, scendere a patti con corse, orari, umori e scelte che non sempre mi vanno a genio. Ma ancora oggi, dopo 30 anni di chitarra, per me la dimensione della band, anche se non più romantica e idealizzata come allora, resta importante. Finché i piatti della mia personalissima "bilancia del benessere" penderanno da quella parte, continuerò così.
E voi amici di Accordo, avete fatto una scelta di campo? Siete irriducibili da sala prove, vi basta divertirvi nel vostro home studio oppure una cosa non esclude l'altra? Fatemelo sapere nei commenti! |