Mettiamo due chitarre identiche, con la garanzia di una costruzione di alto livello che uniformi al massimo la produzione, e cambiamogli un singolo ingrediente: un solo materiale diverso usato per fasce e fondo può davvero trasformare il carattere, la resa e l’approccio generale di una chitarra acustica?
Spoiler: la risposta è sì. Ma abbiamo voluto documentare in che modo e in che misura accade ciò.
Avere tra le mani due chitarre acustiche assai simili tra loro, entrambe di fascia alta e con la continuità della costruzione giapponese, ha permesso di contare su un banco di prova il più neutro possibile.
Le chitarre sono strumenti “vivi”, ogni pezzo è una storia a sé e l’intenzione del musicista gioca un ruolo centrale nella definizione del suono, ma la prospettiva era troppo ghiotta per lasciarsi scappare almeno un confronto diretto da gustarsi con un buon paio di cuffie.
L’opportunità è arrivata con il recente test di due Yamaha. La e sono . Entrambe dreadnought, puramente acustiche, hanno strutture interamente in massello, con top in abete adirondack, manici in mogano e tastiere in ebano. Equivalenti sono anche misure e suonabilità, ma si rivolgono apertamente a due precise nicche di pubblico, puntando una sulla potenza e l’apertura del palissandro, l’altra sul calore e la presenza sonora del mogano.
La memoria sonora è sicuramente volatile, la psicoacustica e l’emozione giocano tantissimo nella valutazione di uno strumento, e l’unico modo per avere un quadro più chiaro è il confronto diretto, con strumenti di registrazione e di misurazione alla mano.
Così, test A/B, analizzatore di spettro, e abbiamo messo sul “tavolo operatorio” la FG9 nelle versioni M per cassa in mogano e R per palissandro.
Prima di entrare nel merito, è chiaro che il progetto alla base dello strumento primeggia. Sono entrambe delle dreadnought da manuale e suonano come tali, ma con sostanziali differenze come quelle che si riscontrerebbero nel timbro vocale di due tenori impegnati a cantare con la stessa tecnica e sugli stessi registri.
Forma, dimensioni e proporzioni delineano tantissimo il carattere di una chitarra acustica, e tutto concorre a creare un equilibrio in cui ogni parte in gioco contribuisce a un preciso risultato finale. Il legno non è da meno ed è impressionante notare come la sostituzione di un singolo materiale sposti la lancetta quanto basta per riconoscere i due strumenti anche a un ascolto “alla cieca” senza troppe difficoltà.
Tra le mani, il risultato si evidenzia ancora di più.
Un’occhiata a come lo spettro delle frequenze si muove descrive con una certa fedeltà ciò che in effetti l’orecchio avverte, quando si fa vibrare una o l’altra chitarra. Il palissandro guadagna registri acuti che nel mogano non compaiono quasi per niente e, insieme ai bassi più profondi, rendono i medi meno evidenti per contrasto, sebbene dagli schemi non sembrino affatto più deboli rispetto a quelli riscontrati col mogano.
Di rimando, l’essenza “rossiccia” preferita dai fingerpicker attenua gli estremi di banda e fa emergere maggiormente tutto il dettaglio sonoro delle frequenze intermedie.
La chitarra è uno strumento “fisico” ed è inevitabile che si instauri una sorta di dialogo col musicista. Quando cambiano il timbro, la reattività e la presenza sonora che si muovono nell’aria, è facile che anche la scelta delle note viri leggermente. E forse è qui che avviene gran parte della magia, un aspetto che però non può emergere dagli strumenti di misurazione.
In base al modo in cui risponde alle sollecitazioni, viene fuori che è la chitarra a suggerire un’intenzione diversa. Porta quasi naturalmente il chitarrista a eseguire una parte più dolce, un arpeggio o una frase solista sul mogano, mentre lo strumming, il basso alternato e le parti a plettro vengono fuori d’istinto quando si “gioca” sul modello in palissandro. Di rimando, il suono che ne risulta “premia” il musicista con una resa azzeccata, riconoscibile, che fa sentire “a casa”. |