di platoblues [user #3866] - pubblicato il 28 ottobre 2006 ore 08:31
L’ignoranza degli imam blocca lo sviluppo culturale di chi vuole vivere secondo l’islam
di Samir Khalil Samir, docente di storia della cultura araba e di islamologia all’università St Joseph di Beirut
Nel mondo islamico cresce a dismisura la richiesta di fatwa sugli argomenti più disparati, per sapere ciò che è lecito e ciò che non lo è. Ciò accresce la dipendenza dai religiosi e il potere dei fondamentalisti. L’esperimento delle donne imam in Marocco. Terza parte di una serie sulla crisi dell’Islam, a cura di Samir Khalil Samir.
'Beirut - Ciò che preoccupa di più i governi sono le fatwa della violenza, che hanno attinenza con la politica. Ma un segno della crisi dell’islam sono soprattutto le fatwa che vengono prodotte ogni giorno, per ogni aspetto della vita, soprattutto quella delle donne. In Egitto – dove vi sono i mufti più fantasiosi e prolifici – ogni giornale, radio, televisione ha una rubrica o programma dedicato alle fatwa. Per due o tre volte alla settimana gli spettatori telefonano con le loro questioni e un mufti risponde alle loro domande. Al Cairo vi sono addirittura dei call-center che ti danno la possibilità di ricevere una fatwa seduta stante. È un vero e proprio business: da una parte vi sono specialisti delle fatwa e dall’altra vi è la gente che chiama. Ogni chiamata ha un prezzo maggiorato rispetto alla normale telefonata (anche 10 volte): una parte del ricavato va al businessman che organizza questo mercato religioso, e una parte va allo stesso mufti. La gente ormai chiama da tutto il mondo, e non solo dall’Egitto, per sapere come comportarsi in una situazione o nell’altra della vita quotidiana.Una domanda che ricorre spesso è se è permesso mangiare con un non musulmano. La richiesta viene soprattutto da businessmen che viaggiano in Germania, in America, a Londra. La risposta, dipendendo dalle conoscenze giuridiche del mufti, potrà essere sì o no. Se mi attengo al testo coranico che dice “Oggi vi sono permesse le cose buone, e vi è lecito anche il cibo di coloro ai quali è stata data la Scrittura, e il vostro cibo è lecito a loro” (5,5), allora si può fare un “pranzo d’affari” con gli occidentali, considerati come appartenenti a “coloro ai quali è stata data la Scrittura”. Ma se considero che gli occidentali sono in genere miscredenti, allora il loro cibo non è halāl ma harām, illecito. Perché lo scopo di tutte le fatwa è di stabilire che cosa è halāl (lecito) e che cosa è harām (illecito).Un altro campo è quello del come comportarsi con una donna: se si può tenere la sua mano in pubblico; se ci si può baciare fra sposi; come fare l’amore a letto; ecc…. In Egitto baciarsi in pubblico è proibito. Chi lo fa, rischia di essere arrestato. Ma queste fatwa vanno oltre: influenzate dal radicalismo, i mufti proibiscono agli sposi perfino di baciarsi in privato. La tendenza fondamentalista nelle fatwa interviene per proibire agli sposi di mostrarsi nudi reciprocamente; ordinano di fare l’amore solo nell’oscurità, oppure – come propone qualcuno – di mettere fra i due corpi un velo sottilissimo… E di tutto questo se ne parla in modo infervorato alla televisione!In questi ultimi mesi mi sono divertito ad ascoltare le fatwa più curiose: “uno stiratore (i negozi di stiratori fioriscono da sempre in Egitto) deve o non deve stirare i vestiti di una donna che normalmente non porta il velo islamico?”; “Se una donna esce dal bagno nuda e vi è un cane nell’appartamento, ha fatto qualcosa di lecito o illecito?”. Risposta: “Dipende dal cane. Se è un cane maschio, la donna ha compiuto qualcosa di illecito”.
Un’altra fatwa molto comica, riportata da un giornale: “Mentre sto pregando passa una donna. La mia preghiera è valida o no?”. Risposta: “Se passa un asino, una donna, o un cane nero, la preghiera deve essere ripetuta”. Incredibile la spiegazione: “L’asino è un animale impuro; il cane nero potrebbe essere Satana che ha preso quelle sembianze; la donna è impura sempre e comunque”.Su un altro giornale leggo una fatwa che riguarda le bambine: “È lecito o no giocare con una bambola Barbie?” Risposta: “ No, perché questa bambola mette in evidenza le cose attrattive del corpo della donna e questo è peccato”. Proprio per questo in Iran hanno vietato il commercio delle Barbie ed hanno creato delle bambole islamiche, vestite alla maniera musulmana, col velo, il chador, il burkha.Talvolta queste fatwa creano scandalo anche fra i fedeli. Ho visto alla televisione egiziana un dibattito durato più di un’ora su “a chi la donna può mostrare il seno”. Tutto era nato dalla tranquilla abitudine che le donne egiziane hanno di allattare i loro neonati in pubblico. Le mamme scoprono il loro seno in autobus, in chiesa, per strada, ovunque: tutto ciò in Egitto non è mai stato uno shock. Ma durante la discussione si è arrivati a chiedersi: può una donna allattare il proprio autista? Vi sono state grida fra gli spettatori, critiche giunte per telefono al canale televisivo. La risposta dell’imam è stata: “Dipende: a seconda del grado di parentela con l’autista, questa cosa è vietata o lecita”. E alle immense proteste del pubblico, egli ha risposto: “Siete degli ignoranti. Questo non è un problema di sensibilità, ma un problema giuridico”.
C’è chi prende tutto questo sul serio. Ancora una volta, questo moltiplicarsi delle domande di fatwa dimostra con evidenza la confusione mentale ormai diffusa e, nello stesso, l’impresa dell’interpretazione fondamentalista dell’islam: essenziale è sapere che cosa è lecito e che cosa non lo è. Il buon senso non c’entra più.2. L’ignoranza degli imam e la dipendenzaIl problema che qui emerge non è tanto la morbosità delle domande e delle risposte, quanto la comune ignoranza del popolo, dei suoi imam e mufti. Nella gente c’è in effetti un grande desiderio di vivere secondo i dettami religiosi. Il punto è che questo ha generato uno stato di dipendenza quasi assoluta delle persone dai loro mufti. Per far sì che l’Islam penetri nella mia vita, dalle cose più intime, alle cose pubbliche, la via è affidarsi al dotto religioso che risponde alle mie domande. A onor del vero, devo dire che anche nella Chiesa copta ortodossa vi è lo stesso pericolo. Ogni venerdì il Patriarca Shenouda III fa una lunga predica di un’ora. Mentre predica, le famiglie mandano a lui i bambini portando dei biglietti con sopra delle domande. Alla fine il Patriarca, ne sceglie alcuni e dà le risposte. I messaggi sono di tutti i tipi – per la verità non così ridicoli come quelli delle fatwa che ho elencato prima… Ma sono messaggi sulla vita morale: se è lecito andare al cinema; se è permesso camminare mano nella mano fra ragazzo e ragazza; se cantare la musica della radio è peccato; ecc. Vi sono anche domande sulla fede, sui problemi del credere in Dio.L’ignoranza delle persone e il desiderio di religiosità ha generato questa struttura di totale dipendenza ai religiosi. Questo mi fa pensare ai dottori della legge che vi erano ai tempi di Gesù. Anche quella società, essendo religiosamente ignorante, e allo stesso tempo, non avendo altro orizzonte che la religione, rendeva le persone succubi in modo totale dei dotti della religione. Questi “dotti” sono senz’altro esperti nella loro specialità (leggi, tradizioni, detti, ecc.) ma possono essere ignoranti dal punto di vista umanistico. 3. La formazione degli imamAlla Mecca il problema è stato affrontato solo di striscio: davanti al dilagare delle fatwa e soprattutto di quelle sulla violenza, i governi si sono limitati a dire che non tutti devono pronunciare delle fatwa. Ma la vera radice del problema è la mancanza di profonda formazione degli imam, dei mufti e in genere degli “uomini di religione” come li chiamiamo noi arabi (rijāl al-dīn). Essendo loro ignoranti, rendono ignoranti anche le persone del popolo. Oltre al fatto che tanti mufti e imam si sono auto-proclamati tali.Qual è la formazione ricevuta dai dotti islamici? Nella stragrande maggioranza dei casi – e parlo del mondo arabo, ma penso che nel mondo asiatico o africano-musulmano non si stia meglio - la loro formazione è strettamente religiosa e islamica: essa si basa sullo studio della lingua araba, del Corano e dei detti del Profeta dell’islam. Ma qui, la parola “studio” significa: imparare a memoria il Corano; imparare a memoria migliaia di detti [i cosiddetti hadith, detti di Maometto]; imparare a memoria migliaia di fatwa, di risposte giuridiche. In seguito, basandosi su un detto di Maometto o su un commento di un dotto dei primi secoli, gli imam applicheranno ad una situazione presente qualche fatto o detto del passato, usando il principio dell’analogia: “Ecco, siamo in una situazione parallela, simile: possiamo dunque applicare questo o quel detto, questo o quel criterio”. Ma anche per queste applicazioni, si usa la memorizzazione; lo sforzo di riflessione è quasi inesistente.
D’altra parte gli imam non ricevono alcuna vera formazione in sociologia, psicologia, letteratura fuori dall’orizzonte arabo. Spesso, al di fuori della lingua araba (o della loro lingua materna, più l’arabo) non conoscono nessun altra lingua. È molto raro che essi sappiano leggere libri in inglese, francese o italiano. Anzi è rarissimo: di certo gli imam che conoscono una lingua straniera, diversa dall’arabo, non sono più del 5%. Tutto questo crea dunque una cultura, certo molto specializzata, dotta nei cavilli e nelle risposte, ma essa è una cultura chiusa, come un vaso tappato ermeticamente. Manca loro la capacità di situare la questione che studiano nell’ambito più largo, più universale; la capacità di affrontare una questione dal punto di vista storico, sociologico, politico ecc., insomma di avere dei punti di paragoni fuori del loro mondo islamico. 4. L’esperimento delle donne imam nel MaroccoMolti musulmani e personalità politiche riconoscono che i loro imam sono ignoranti e che la formazione che essi danno al popolo è davvero insoddisfacente. Così diversi Stati stanno riformulando nuove strutture educative. Un esempio interessante di formazione è quello varato dal Marocco, dove hanno iniziato addirittura una scuola per imam maschi e anche per le donne (che non si chiamano imām, ma murscidāt, “donne che guidano o consigliano”).Ogni 6 mesi il Ministero degli Affari islamici del Marocco prende decine di uomini e donne e offre loro un periodo di formazione della durata di un anno. Nell’ultima “infornata” hanno assunto 60 donne giovani, e molti più uomini. La scuola a prima vista ha un carattere molto tradizionale: in classe le donne sono separate dagli uomini, indossano un velo tradizionale delle marocchine (non il cosiddetto “velo islamico” importato dall’Arabia Saudita), ecc. Parte della formazione consiste naturalmente nello studio del Corano, ma è uno studio più aperto, con un’interpretazione favorevole alla modernità. Negli studi religiosi si affronta il diritto, la storia religiosa, ecc. Ma il fatto assolutamente nuovo è che essi frequentano anche corsi di scienze umane, psicologia, diritti umani e spiegazione della mudawwana, il nuovo diritto di famiglia varato due anni fa dal re del Marocco. Questa nuova mudawwana garantisce maggiore uguaglianza di diritti fra uomo e donna; ha suscitato molte proteste da parte dei fondamentalisti, ma resiste. I nuovi imam formati, uomini e donne, servono anche a diffonderne il valore e attuarlo.Infatti, dopo 12 mesi di formazione, le donne in particolare sono mandate nelle moschee, nelle prigioni, negli ospedali, nelle scuole, nelle associazioni per parlare e predicare alle donne, ma non in modo esclusivo. È una specie di “femminilizzazione” dell’Islam che fa capire ai musulmani l’importanza della donna nel mondo islamico. Le prime valutazioni sull’esperimento sono tutte molto positive. Le murscidāt ricevono un salario dal governo, corrispondente a circa 450 euro che per il Marocco è un buon salario. Leggendo alcune interviste fatte a loro, si comprende che esse sono animate da uno spirito missionario, di voler far aprire gli occhi su un islam tutto aperto alla modernità. Questo esperimento del Marocco è uno dei più belli fra quelli proposti dagli Stati musulmani. In Francia, alcuni gruppi privati stanno cercando di varare qualcosa di simile, ma non sono ancora riusciti a formare bene gli imam.'
L’ignoranza degli imam blocca lo sviluppo culturale di chi vuole vivere secondo l’islam
di Samir Khalil Samir, docente di storia della cultura araba e di islamologia all’università St Joseph di Beirut
Nel mondo islamico cresce a dismisura la richiesta di fatwa sugli argomenti più disparati, per sapere ciò che è lecito e ciò che non lo è. Ciò accresce la dipendenza dai religiosi e il potere dei fondamentalisti. L’esperimento delle donne imam in Marocco. Terza parte di una serie sulla crisi dell’Islam, a cura di Samir Khalil Samir.
'Beirut - Ciò che preoccupa di più i governi sono le fatwa della violenza, che hanno attinenza con la politica. Ma un segno della crisi dell’islam sono soprattutto le fatwa che vengono prodotte ogni giorno, per ogni aspetto della vita, soprattutto quella delle donne.
In Egitto – dove vi sono i mufti più fantasiosi e prolifici – ogni giornale, radio, televisione ha una rubrica o programma dedicato alle fatwa. Per due o tre volte alla settimana gli spettatori telefonano con le loro questioni e un mufti risponde alle loro domande. Al Cairo vi sono addirittura dei call-center che ti danno la possibilità di ricevere una fatwa seduta stante. È un vero e proprio business: da una parte vi sono specialisti delle fatwa e dall’altra vi è la gente che chiama. Ogni chiamata ha un prezzo maggiorato rispetto alla normale telefonata (anche 10 volte): una parte del ricavato va al businessman che organizza questo mercato religioso, e una parte va allo stesso mufti. La gente ormai chiama da tutto il mondo, e non solo dall’Egitto, per sapere come comportarsi in una situazione o nell’altra della vita quotidiana.
Una domanda che ricorre spesso è se è permesso mangiare con un non musulmano. La richiesta viene soprattutto da businessmen che viaggiano in Germania, in America, a Londra. La risposta, dipendendo dalle conoscenze giuridiche del mufti, potrà essere sì o no. Se mi attengo al testo coranico che dice “Oggi vi sono permesse le cose buone, e vi è lecito anche il cibo di coloro ai quali è stata data la Scrittura, e il vostro cibo è lecito a loro” (5,5), allora si può fare un “pranzo d’affari” con gli occidentali, considerati come appartenenti a “coloro ai quali è stata data la Scrittura”. Ma se considero che gli occidentali sono in genere miscredenti, allora il loro cibo non è halāl ma harām, illecito. Perché lo scopo di tutte le fatwa è di stabilire che cosa è halāl (lecito) e che cosa è harām (illecito).
Un altro campo è quello del come comportarsi con una donna: se si può tenere la sua mano in pubblico; se ci si può baciare fra sposi; come fare l’amore a letto; ecc…. In Egitto baciarsi in pubblico è proibito. Chi lo fa, rischia di essere arrestato. Ma queste fatwa vanno oltre: influenzate dal radicalismo, i mufti proibiscono agli sposi perfino di baciarsi in privato. La tendenza fondamentalista nelle fatwa interviene per proibire agli sposi di mostrarsi nudi reciprocamente; ordinano di fare l’amore solo nell’oscurità, oppure – come propone qualcuno – di mettere fra i due corpi un velo sottilissimo… E di tutto questo se ne parla in modo infervorato alla televisione!
In questi ultimi mesi mi sono divertito ad ascoltare le fatwa più curiose: “uno stiratore (i negozi di stiratori fioriscono da sempre in Egitto) deve o non deve stirare i vestiti di una donna che normalmente non porta il velo islamico?”; “Se una donna esce dal bagno nuda e vi è un cane nell’appartamento, ha fatto qualcosa di lecito o illecito?”. Risposta: “Dipende dal cane. Se è un cane maschio, la donna ha compiuto qualcosa di illecito”.
Un’altra fatwa molto comica, riportata da un giornale: “Mentre sto pregando passa una donna. La mia preghiera è valida o no?”. Risposta: “Se passa un asino, una donna, o un cane nero, la preghiera deve essere ripetuta”. Incredibile la spiegazione: “L’asino è un animale impuro; il cane nero potrebbe essere Satana che ha preso quelle sembianze; la donna è impura sempre e comunque”.
Su un altro giornale leggo una fatwa che riguarda le bambine: “È lecito o no giocare con una bambola Barbie?” Risposta: “ No, perché questa bambola mette in evidenza le cose attrattive del corpo della donna e questo è peccato”. Proprio per questo in Iran hanno vietato il commercio delle Barbie ed hanno creato delle bambole islamiche, vestite alla maniera musulmana, col velo, il chador, il burkha.
Talvolta queste fatwa creano scandalo anche fra i fedeli. Ho visto alla televisione egiziana un dibattito durato più di un’ora su “a chi la donna può mostrare il seno”. Tutto era nato dalla tranquilla abitudine che le donne egiziane hanno di allattare i loro neonati in pubblico. Le mamme scoprono il loro seno in autobus, in chiesa, per strada, ovunque: tutto ciò in Egitto non è mai stato uno shock. Ma durante la discussione si è arrivati a chiedersi: può una donna allattare il proprio autista? Vi sono state grida fra gli spettatori, critiche giunte per telefono al canale televisivo. La risposta dell’imam è stata: “Dipende: a seconda del grado di parentela con l’autista, questa cosa è vietata o lecita”. E alle immense proteste del pubblico, egli ha risposto: “Siete degli ignoranti. Questo non è un problema di sensibilità, ma un problema giuridico”.
C’è chi prende tutto questo sul serio. Ancora una volta, questo moltiplicarsi delle domande di fatwa dimostra con evidenza la confusione mentale ormai diffusa e, nello stesso, l’impresa dell’interpretazione fondamentalista dell’islam: essenziale è sapere che cosa è lecito e che cosa non lo è. Il buon senso non c’entra più.
2. L’ignoranza degli imam e la dipendenza
Il problema che qui emerge non è tanto la morbosità delle domande e delle risposte, quanto la comune ignoranza del popolo, dei suoi imam e mufti. Nella gente c’è in effetti un grande desiderio di vivere secondo i dettami religiosi. Il punto è che questo ha generato uno stato di dipendenza quasi assoluta delle persone dai loro mufti. Per far sì che l’Islam penetri nella mia vita, dalle cose più intime, alle cose pubbliche, la via è affidarsi al dotto religioso che risponde alle mie domande.
A onor del vero, devo dire che anche nella Chiesa copta ortodossa vi è lo stesso pericolo. Ogni venerdì il Patriarca Shenouda III fa una lunga predica di un’ora. Mentre predica, le famiglie mandano a lui i bambini portando dei biglietti con sopra delle domande. Alla fine il Patriarca, ne sceglie alcuni e dà le risposte. I messaggi sono di tutti i tipi – per la verità non così ridicoli come quelli delle fatwa che ho elencato prima… Ma sono messaggi sulla vita morale: se è lecito andare al cinema; se è permesso camminare mano nella mano fra ragazzo e ragazza; se cantare la musica della radio è peccato; ecc. Vi sono anche domande sulla fede, sui problemi del credere in Dio.
L’ignoranza delle persone e il desiderio di religiosità ha generato questa struttura di totale dipendenza ai religiosi. Questo mi fa pensare ai dottori della legge che vi erano ai tempi di Gesù. Anche quella società, essendo religiosamente ignorante, e allo stesso tempo, non avendo altro orizzonte che la religione, rendeva le persone succubi in modo totale dei dotti della religione. Questi “dotti” sono senz’altro esperti nella loro specialità (leggi, tradizioni, detti, ecc.) ma possono essere ignoranti dal punto di vista umanistico.
3. La formazione degli imam
Alla Mecca il problema è stato affrontato solo di striscio: davanti al dilagare delle fatwa e soprattutto di quelle sulla violenza, i governi si sono limitati a dire che non tutti devono pronunciare delle fatwa. Ma la vera radice del problema è la mancanza di profonda formazione degli imam, dei mufti e in genere degli “uomini di religione” come li chiamiamo noi arabi (rijāl al-dīn). Essendo loro ignoranti, rendono ignoranti anche le persone del popolo. Oltre al fatto che tanti mufti e imam si sono auto-proclamati tali.
Qual è la formazione ricevuta dai dotti islamici? Nella stragrande maggioranza dei casi – e parlo del mondo arabo, ma penso che nel mondo asiatico o africano-musulmano non si stia meglio - la loro formazione è strettamente religiosa e islamica: essa si basa sullo studio della lingua araba, del Corano e dei detti del Profeta dell’islam. Ma qui, la parola “studio” significa: imparare a memoria il Corano; imparare a memoria migliaia di detti [i cosiddetti hadith, detti di Maometto]; imparare a memoria migliaia di fatwa, di risposte giuridiche. In seguito, basandosi su un detto di Maometto o su un commento di un dotto dei primi secoli, gli imam applicheranno ad una situazione presente qualche fatto o detto del passato, usando il principio dell’analogia: “Ecco, siamo in una situazione parallela, simile: possiamo dunque applicare questo o quel detto, questo o quel criterio”. Ma anche per queste applicazioni, si usa la memorizzazione; lo sforzo di riflessione è quasi inesistente.
D’altra parte gli imam non ricevono alcuna vera formazione in sociologia, psicologia, letteratura fuori dall’orizzonte arabo. Spesso, al di fuori della lingua araba (o della loro lingua materna, più l’arabo) non conoscono nessun altra lingua. È molto raro che essi sappiano leggere libri in inglese, francese o italiano. Anzi è rarissimo: di certo gli imam che conoscono una lingua straniera, diversa dall’arabo, non sono più del 5%. Tutto questo crea dunque una cultura, certo molto specializzata, dotta nei cavilli e nelle risposte, ma essa è una cultura chiusa, come un vaso tappato ermeticamente. Manca loro la capacità di situare la questione che studiano nell’ambito più largo, più universale; la capacità di affrontare una questione dal punto di vista storico, sociologico, politico ecc., insomma di avere dei punti di paragoni fuori del loro mondo islamico.
4. L’esperimento delle donne imam nel Marocco
Molti musulmani e personalità politiche riconoscono che i loro imam sono ignoranti e che la formazione che essi danno al popolo è davvero insoddisfacente. Così diversi Stati stanno riformulando nuove strutture educative. Un esempio interessante di formazione è quello varato dal Marocco, dove hanno iniziato addirittura una scuola per imam maschi e anche per le donne (che non si chiamano imām, ma murscidāt, “donne che guidano o consigliano”).
Ogni 6 mesi il Ministero degli Affari islamici del Marocco prende decine di uomini e donne e offre loro un periodo di formazione della durata di un anno. Nell’ultima “infornata” hanno assunto 60 donne giovani, e molti più uomini. La scuola a prima vista ha un carattere molto tradizionale: in classe le donne sono separate dagli uomini, indossano un velo tradizionale delle marocchine (non il cosiddetto “velo islamico” importato dall’Arabia Saudita), ecc. Parte della formazione consiste naturalmente nello studio del Corano, ma è uno studio più aperto, con un’interpretazione favorevole alla modernità. Negli studi religiosi si affronta il diritto, la storia religiosa, ecc.
Ma il fatto assolutamente nuovo è che essi frequentano anche corsi di scienze umane, psicologia, diritti umani e spiegazione della mudawwana, il nuovo diritto di famiglia varato due anni fa dal re del Marocco. Questa nuova mudawwana garantisce maggiore uguaglianza di diritti fra uomo e donna; ha suscitato molte proteste da parte dei fondamentalisti, ma resiste. I nuovi imam formati, uomini e donne, servono anche a diffonderne il valore e attuarlo.
Infatti, dopo 12 mesi di formazione, le donne in particolare sono mandate nelle moschee, nelle prigioni, negli ospedali, nelle scuole, nelle associazioni per parlare e predicare alle donne, ma non in modo esclusivo. È una specie di “femminilizzazione” dell’Islam che fa capire ai musulmani l’importanza della donna nel mondo islamico. Le prime valutazioni sull’esperimento sono tutte molto positive. Le murscidāt ricevono un salario dal governo, corrispondente a circa 450 euro che per il Marocco è un buon salario. Leggendo alcune interviste fatte a loro, si comprende che esse sono animate da uno spirito missionario, di voler far aprire gli occhi su un islam tutto aperto alla modernità. Questo esperimento del Marocco è uno dei più belli fra quelli proposti dagli Stati musulmani. In Francia, alcuni gruppi privati stanno cercando di varare qualcosa di simile, ma non sono ancora riusciti a formare bene gli imam.'