Le colline sono ormai ombre sul blu profondo della sera. Il loro profilo si confonde nel cielo, e quei tremolanti punti luminosi, lampadari e lampioni, sembrano riflessi nel cielo di stelle. Lassù sta lei, la luna, a dar chiaro a quest’altra parte di vita, tendendo la sua mano sicura per il cammino della notte.
L’aria fresca si tinge della fragranza che sgorga da quel bicchiere di vino, rosso, che è lì, a portata di mano. Adagiati sul tavolo, gli sono compagni la matita da steno, morbida amica, e quel foglio bianco graffiato di righe e punti neri che in te hanno vibrazione di stelle e di umane luminescenze. E sotto le dita sei raggi di luna.
In principio erano lame che segnavano i tuoi ingenui polpastrelli di ragazzo. Terminazioni ancora troppo sensibili di quelle dita capricciose che parevano non essere tue, che andavano controvoglia a premere lì dove tu volevi. Così dure e severe erano quelle corde. Così avare di suono, malfermo ed a volte sferragliante. Ribelli e tenaci erano. Eppure, quei tre pallini neri messi in gabbia sembravano così dolci ed ordinati, uno a fianco all’altro come bignè nella vetrina del pasticciere. Giovani come tre ragazzine che, in confidenziale amicizia, passeggiano lungo il viale tenendosi per mano. Anche il loro nome era semplice, un articolo: LA. Ma tu già sapevi che era importante. Rivestito di quel “maggiore” che ne faceva un ufficiale di chissà quale infinito esercito di note. Quelle corde erano lame che ora più non ricordi, velluto di luna.
Venne il tempo in cui quelle medesime corde, non ancora completamente domate, ti davano energia e potere. Che, chissà come, entravano lungo il filo che ti teneva legato a quel carro armato nero, tempestato di lucette e rotelline da girare. Pronto ad avanzare con potenza inarrestabile, a sparare raffiche di mitragliatore e bordate di accordi. E la luce, anche quella era diversa: lampi blu e gialli, rossi e furiosi, fuochi di battaglia che si consumava su quel palco. E sentire di birra, sudore e valvole arroventate.
Già allora ti accadeva, a volte, di appoggiare le mani su di una compagna più leggera, più timida ed educata. In quelle sere al mare, quando si prestava a far da guanciale alle chiacchiere degli amici, alle canzoni ed agli occhi belli delle ragazze. Una chitarra che nella notte avanzante ti tormentava con inconciliabili dissonanze d’umidità. E di freddo che ti obbligava a riporre la musica e la notte nel sonno.
In quelle sere scoprivi che, modificando appena quel perfetto allineamento, a fianco dell’oramai familiare LA si affacciava il ricordo di un libro dalla copertina arancio al centro della quale campeggiava un termine straniero: algebra. Ma quel 7+ non era matematica, e nemmeno il tuo voto. Era una semplice alchimia che spigionava da quell’accordo sensazioni più libere, sospese e appena malinconiche. Quella piccola distrazione ne faceva un’armonia socchiusa, come le sue labbra morbide che volevi baciare. Accordo nel quale si scioglievano con magia quelle sue parole “believe me, believe me …”. Cantava.
Ora i tuoi pensieri sono chiari, alla luce della luna. Ora sai bene che quel simbolo un po’ spigoloso, 7+, si può marcare con un’elegante e sfuggente j : il “maj seven” dalla pronuncia d’oltremare. Adesso conosci le regole che ne governano la chimica armonica, quali i suoi predecessori ed i suoi conseguenti. Ma perché quel semplice grappolo di note abbia il potere di farti gonfiare il cuore, proprio non lo capisci.
La luna ti bisbiglia che quelle corde d’argento, quella valigia di legno dalla forma femminile, sanno restituirti quelle stesse emozioni, se lo vuoi. Ora sai che in quella buca si cela il nascondiglio segreto dei tuoi lontani pensieri, di sguardi, canzoni e sorrisi, di turbamenti e lacrime. Sai che la tua chitarra è lo scrigno degli averi a te più preziosi, e quelle sei corde ne sono la chiave. Ti sussurra che quello è lo scrigno dove conservi la tua vita.