di janblazer [user #26680] - pubblicato il 22 febbraio 2011 ore 22:18
L'immagine della stazione Porta Nuova di Torino ripresa in romantici filmati in bianco e nero, testimone dell’ arrivo dei primi immigrati dal sud Italia carichi di valige di cartone legate con lo spago, taniche di olio, damigiane di vino e trecce di salamella e caciocavallo sul collo a mò di sciarpa, è un ricordo sbiadito dei lontani anni 60-70.
Tempi eroici, da pionieri, ormai passati, che fanno sorridere se si fa il confronto con le problematiche migratorie di questi ultimi anni. Oggi, la situazione della grande industria del nord al tracollo e le sue promesse non mantenute, sono tuttora un monito e un ammonimento a chi cerca un lavoro sopra al 45° parallelo per decidere di non partire.
Per fare la fame a Torino o Milano, meglio rimanere vicino ai propri affetti, baciati dal caldo e dal sole di un meridione sicuramente da scoprire e rivalutare. Tra i figli di quella generazione di immigrati , di quella colonia targata Fiat, c’era Carmelo, Melo per amici e parenti, Bucchì per i clienti.
Lo scalo ferroviario piemontese era il luogo di lavoro, i gabinetti maschili il suo ufficio, e il mestiere di questo ragazzo quasi trentenne, come si dice per le prostitute, era il più antico del mondo.
Incontrava i clienti nell’ultima toilette, sempre vuota a sua disposizione. La curava personalmente mantenendola pulita, praticamente l’unico decoroso di tutti i servizi igienici dell’ imponente stazione torinese.
Tutti lo conoscevano, dai macchinisti ai bigliettai, dai facchini agli agenti della Polizia Ferroviaria, tutti sapevano cosa succedeva dietro la porta di quel gabinetto.
Tutti chiudevano un occhio perché Bucchì li teneva aperti tutti e due.
Per poter esercitare la sua professione in tranquillità aveva accettato il ruolo di informatore e confidente delle forze dell’ordine, anche se raramente si era reso utile. Bucchì aveva iniziato la sua carriera di bocchinaro al Ferrante Aporti, il carcere minorile di Torino, dopo una stupida, inutile, improvvisata rapina a un distributore di benzina finita male.
Quando entrò nella cella del tristemente famoso istituto di pena, spaesato, con quegli occhioni grandi e scuri, i capelli lunghi e il corpo acerbo di un sedicenne, mai avrebbe immaginato cosa nascondevano i sorrisi dei suoi compagni di detenzione.
Lo imparò la prima notte.
Una spiga di grano tagliata da un netto colpo di falce.
Una volta uscito e scontata la pena, insieme a un cugino tossicodipendente compì altri piccoli reati ed essendo maggiorenne gli si aprirono le porte del carcere.
La sua fedina penale era macchiata. Nessuno gli avrebbe offerto più un lavoro onesto e per campare iniziò a fare l’unica cosa che aveva imparato in galera.
Il suo lavoro lo sapeva fare bene.
Alcuni clienti dicevano che aveva una bocca speciale, una delicatezza, un tocco, che nessuna donna poteva competere con lui. Un maestro nell'arte di succhiare i cazzi. La giornata stava finendo, la voce metallica dell’ altoparlante annunciava il Pendolino in arrivo da Firenze, era ora di andare a casa.
Stava uscendo quando nella terza toilette qualcosa attirò la sua attenzione.
Per terra c’era un portafoglio.
Sicuramente era caduto al proprietario nel momento in cui si era calato i calzoni.
Bucchì lo raccolse e lo aprì.
Da un conteggio sommario c’erano almeno duemila euro.
Che fortuna! Ci scappava una bella vacanza.
Per una settimana non avrebbe sentito l’odore nauseante di urina di quei schifosissimi cessi, avrebbe dimenticato il sapore di lubrificante e di lattice dei preservativi che gli impastava la bocca, non avrebbe dovuto sorridere a vecchi maiali in cerca di un frettoloso orgasmo da tre minuti. Guardò meglio, nel portafoglio c’erano carte di credito e libretto di assegni.
Che colpaccio. Sarebbe subito andato al Centro Commerciale a comprare quel televisore al plasma che sognava da mesi facendo una bella strisciata alla Visa.
Curiosò tra i documenti, c’era la patente con l’indirizzo. Il proprietario doveva essere dalle parti della collina verso Cavoretto.
Posti da signori, altro che la casa popolare in via Artom dove era nato. Uscì di corsa, salì sul suo Ducati Monster parcheggiato in un garage privato, mise in moto e partì in direzione Corso Vittorio Emanuele.
Non ci volle molto a trovare la villa.
La costruzione era moderna e l'esagerazione, lo spreco, in abbellimenti e cura dei particolari, rispecchiava il gusto di qualche arricchito di ultima generazione, altrimenti sarebbe stata in stile Liberty testimone di una agiatezza accumulata cent’anni prima. Bucchì fermò il suo mezzo a due ruote, e con il casco in mano si avvicinò al cancello elettrico che si stava chiudendo.
Con un balzo riuscì ad entrare.
Il profumo dei tigli del viale quasi lo intontì talmente era intenso. “Chi sei, cosa vuoi?”
Bucchì fece un salto e si voltò in direzione della voce.
Era una ragazza, pallida, magra, con lo sguardo triste e corrucciato, carica di orecchini e di piercing.
Vestita di nero, ricordava la cantante dark inglese degli anni ottanta Siouxsie. “Ho trovato aperto”
“E tu entri in tutti i cancelli che trovi aperti ?”
“Veramente sono venuto per restituire questo, era per terra nei bagni della stazione”
In una frazione di secondo, Bucchì vide volatilizzarsi la televisione 40 pollici al plasma e la vacanza, ma ormai poteva solo mordersi la lingua.
“Cavoli, ci sono ancora i soldi, non ci posso credere “
“Subito avevo pensato di tenerli..”
“Meno male, non sei scemo del tutto. Sai che si fa? Restituiamo a mio padre tutto il resto e ci teniamo la grana, tanto al mio vecchio non servono. Facciamo metà per uno, va bene?”
“OK, una vacanza al mare ci esce lo stesso, affare fatto.”
“Al mare ? In moto ? Vedo che hai il casco. Si può andare assieme se ti va, di te mi posso fidare”
“Mica tanto, sono stato in galera..”
“Si, rubavi portafogli per poi restituirli, dai, scemo, prendo il casco, come ti chiami ? “
“Carmelo, chiamami Melo”
“Dio mio che orrore, ti chiamerò Mel, io sono Gabry, andiamo a farci un giro intanto, poi combiniamo il da farsi.”
Con il rombo inconfondibile del motore Ducati partirono in direzione centro città.
Bucchì sentì il corpo di Gabry aderente al suo e le braccia che teneramente lo stringevano in vita, era una bella sensazione. Pensò che finalmente il destino questa volta gli stava facendo l'occhiolino. Gabry, seduta dietro abbracciata a lui, canticchiava sorridendo un vecchio pezzo di Elvis..
We can't go on together with suspicious minds.. And we can't build our dreams on suspicious minds..