da qualche anno a questa parte nei negozi di dischi (sempre più rari ahimè) e nei grandi magazzini della musica fisica, hanno ricominciato a fare capolino i dischi in vinile. per quanto mi riguarda, il rapporto col vinile non si è mai interrotto. il mio buon vecchio thorens fa ancora il suo dovere e ho un accettabile numero di dischi, tra quelli comprati direttamente da me anni addietro e la collezione paterna, oltre ad altre chicche trafugate in età giovanile dalle case dei parenti che sono stati giovani nei periodi 'giusti'. insomma ormai mi ritengo abbastanza autosufficiente. detto questo, la prima reazione che ho avuto, quando ho cominciato a notare nuovamente i vinili nei negozi, è stata di perplessità. al di là delle considerazioni sul voler far leva, in piena era della musica 'liquida', sulla dimensione della nostalgia e/o delle suggestioni del vintage, mi chiedevo cosa effettivamente contenessero quei vinili. per tutta la musica registrata fino agli anni '80 si potrebbe presumere che l'etichetta che oggi decide di ristampare un LP, chessò, di stevie wonder, sia in possesso dei master analogici e parta da quelli. ed è pure sempre una presunzione che le informazioni sulla custodia spesso non confermano nè smentiscono. l'anno scorso mi hanno regalato Five Leaves Left di Nick Drake in vinile (ma va?) e, conoscendo alla perfezione il suono del corrispettivo cd, ho avuto la chiara impressione di una resa sonora decisamente più ricca. gli ho dato fiducia: per me era analogico vero. ma per tutta la musica più recente, registrata in digitale, il segnale di partenza sarà comunque binario, e allora come la mettiamo?. mi chiedo insomma se comprare l'ultimo disco del nostro artista preferito in vinile corrisponda ad una scelta di qualità o più banalmente ad una scelta alla moda. |