C'è stato un momento, la sera del 27 novembre, mentre guardavo e sentivo per l'ennesima volta Jimi eseguire "Purple Haze", in cui non ho trattenuto qualche lacrima.
Ero io, in quel momento, a baciare il cielo. Eravamo tutti noi, che lo abbiamo ascoltato, lo stiamo ancora ascoltando a partire dalla fine degli anni '60 e continueremo ad ascoltarlo finché batteranno i nostri cuori.
Baceranno il cielo tutti coloro che lo ascolteranno in futuro e che, magari, strabuzzeranno gli occhi nell'apprendere che la musica che stanno ascoltando è degli anni '60.
Non ho molto da dire sul film, trattava un tema già abbondantemente visto e sentito. Il lavoro di pulizia dell'audio è stato egregio e, in effetti, si è vista qualche inquadratura inedita. La magia, come sempre, era solo e semplicemente data da Jimi. La commozione di sapere che, se non se fosse andato, chissà dove avrebbe compiuto settant'anni. Le telecamente hanno ripreso volti del '69 sbigottiti e bocche del '69 letteralmente aperte e incredule.
Le accordature impossibili da stabilizzare, le improvvisazioni che a volte si perdono chissà dove, la timidezza evidente che improvvisamente sparisce tra le spire della musica e lascia spazio solo alla incontenibile voglia di suonare la chitarra.
Quella chitarra amata, violata, bruciata, baciata, la vera padrona della sua vita.
Tutto questo ha voluto dire, per me, andare al cinema l'altra sera. Rivedere ancora una volta Jimi e sentire la sua musica.
Si è detto tutto sull'ultimo anno di vita di Jimi, la voglia di scrollarsi di dosso un cliché che cominciava a stargli molto stretto, la necessità di sperimentare nuove strade e nuovi compagni di strada.
In effetti le immagini di Woodstock ci consegnano un volto che non pare completamente sereno. Forse fu semplicemente la preoccupazione di esibirsi davanti a una audience numerosissima con una formazione inedita e con pochissime prove alle spalle, o forse la preoccupazione della reazione che avrebbe avuto l'audience di fronte alla Gypsy Sun and Rainbows anziché l'Experience.
L'esibizione di Woodstock, rispetto al "solito", ci ha consegnato un Jimi un po' più concentrato sulla musica e un po' meno guascone. Niente chitarra tra le gambe, niente evoluzioni dietro la testa, solo un paio di svisate con i denti. Anche il feedback fu usato con maggiore parsimonia, a eccezione del momento catartico di "Star Spangled Banner".
Nessuno può dire cosa sarebbe stato dopo. Nessuno sa cosa sarebbe successo se il 18 settembre di un anno dopo Jimi fosse andato a letto presto dopo un bel bicchiere di latte.
Avrebbe fatto un disco con Miles Davis? Avrebbe suonato ancora per molti anni? Ognuno di noi si sarà fatto la propria idea.
Ci restano la manciata di dischi ufficiali, i video, le torrenziali pubblicazioni della famiglia (non sempre all'altezza della qualità che tutti ci aspettiamo quando c'è Jimi in ballo). Ci restano due ore di film con lo schermo riempito di quel volto e di quella chitarra che, a 42 anni di distanza, ancora ci mancano tantissimo.
Ci resta dare un bacio al cielo, tutti i giorni e ogni volta che la sua chitarra suona.