di Denis Buratto [user #16167] - pubblicato il 17 maggio 2013 ore 10:30
Come l’avrebbe fatta Lester, probabilmente no. Rispettosa della tradizione, nemmeno. Quello che dovrebbe rappresentare la Les Paul T Signature è forse una rivoluzione in sordina, un colpo al cerchio uno alla botte, creando uno strumento sfizioso traditional chic. L’abbiamo provata con il nostro Michele Quaini scoprendo lati davvero interessanti.
Come l’avrebbe fatta Lester, probabilmente no. Rispettosa della tradizione, nemmeno. Quello che dovrebbe rappresentare la Les Paul T Signature è forse una rivoluzione in sordina, un colpo al cerchio uno alla botte, creando uno strumento sfizioso traditional chic. L’abbiamo provata con il nostro Michele Quaini scoprendo lati davvero interessanti.
Tra reissue e signature ormai si è perso il conto. La Les Paul, dalla prima versione del 1952, ha cambiato mille facce, mille colori e materiali. L’abbiamo vista sfoggiare Floyd Rose cromati, smussata a colpi di sgorbia, in versioni alleggerite e colorate in viola oppure completamente robotizzate. La Signature T, dove T sta per tuners, all’apparenza sembra avere tutto al posto giusto. Battipenna cream, c’é, mogano presente top in acero, pure. Qualcosa però dev’esserci di diverso in questa Les Paul, nata per essere la Signature di Lester Polfuss, l’indimenticato creatore della chitarra che ha letteralmente forgiato il rock come lo conosciamo oggi. Se si pensa alla cosiddetta The Log, voluminosa archtop con blocco di legno centrale, o alla sinuosa chitarra del ’52 a cassa piena, dorata, con un tailpiece a trapezio, un paio di P90 color crema e una tastiera in legno bruno, le differenze si fanno più evidenti.
La T Signature è costruita rispettando, almeno (o quasi) nei materiali il progetto originario: mogano per il body e uno spesso top in acero per dare maggior attacco e brillantezza al suono grosso e potente già di suo. Il manico a 22 tasti, incollato, ha però un profilo slim-taper ’60. Questo permette di muoversi agevolmente su e giù per la tastiera con una facilità estrema. La tastiera è realizzata nel tanto criticato Grade-A-Granadillo, dal colore leggermente diverso rispetto al palissandro a cui siamo abituati ma altrettanto gradevole. Al posto della coppia di P90 troviamo però due ’57 Classic, splittabili tramite le manopole del tono, un’elettronica decisamente in controtendenza rispetto a quanto immaginato da Les Paul himself.
Le finiture sono da chitarra di lusso, tutto è dove dovrebbe. I segnatasti a trapezio, il binding, il battipenna, tutto realizzato con cura fin nei minimi dettagli. Insomma il primo test è stato superato, è giunto il momento di sentire se anche le orecchie avranno la loro parte.
La suonabilità e l’ergonomia sono garantite dal manico comodo e aiutate dai tasti medium jumbo collocati e smussati alla parfezione con il sistema Plek. Il peso è contenuto rispetto alle vecchie glorie di casa Gibson, un sollievo per la schiena!
Quando si collega una Les Paul all’amplificatore si è subito tentati di spingere il gain oltre misura e i power chord fremono per essere suonati. Con grande sforzo ci imponiamo di suonare un po’ clan, se non altro per mettere in mostra il carattere dei ’57 Classic splittati. In questa modalità entrambi i pickup mostrano un carattere brillante, mai spompo. Merito forse dell'avvolgimento oversized che garantisce un po’ più di output. Si riesce comodamente a suonare qualche riff funk, ma non bisogna illudersi: in posizione due non si riesce a tirare fuori la minima traccia di twang, ma la cosa non ci sorprende affatto.
Gli humbucker a piena potenza cominciano a scaldare le valvole del Divided #13, che fatica a mantenersi clean, soprattutto quando a suonare è il pickup al ponte. Sorprende un poco la scurezza al manico, più da archtop che da Les Paul, ma nulla di grave.
Alzando il gain il carattere da vero purosangue si fa sentire. Le ritmiche si aprono quasi per magia e la Signature T tira fuori le unghie. Le medie frequenze, sia al ponte sia al manico, fanno il paio con le basse per tirare fuori un sound davvero aggressivo. Questi ’57 lasciano sempre di stucco. Riescono a trasmettere tutto il timbro che ci si aspetterebbe da un PAF con l’aggiunta dell’aggressività data dall’output maggiorato.
In sostanza quella che abbiamo di fronte è una Les Paul fatta e finita, con un paio di upgrade da non sottovalutare, ma che permettono di aumentarne la versatilità senza per questo stravolgerne i tratti che la hanno resa leggendaria. Il modello che avevamo in prova era dotata del sistema Mini-E-Tune di cui abbiamo già ampiamente parlato, che con pochi dollari in più può essere montato. Per la stessa cifra si possono scegliere delle ottime meccaniche dorate che rendono la T Signature ancora più gorgeous!