Quando lo abbiamo incontrato a SHG nel novembre scorso, ci ha raccontato con orgoglio la genesi di questo disco, presentandocelo come il frutto di una vera e propria svolta. Durante la nostra lunga chiacchierata al Forum di Assago abbiamo scoperto uno Steve Lukather nuovo di zecca, in piena forma psico-fisica, lontano dagli eccessi e dalla frenesia del passato.Dopo un travagliato periodo che lo ha messo a dura prova con un divorzio, la morte della madre e svariate grane lavorative, ha affrontato i suoi demoni e oggi è un uomo molto più sereno che, tornando in pace con se stesso e col mondo, ha scoperto il più profondo senso di gratitudine per quello che la vita gli ha regalato e ha ritrovato finalmente la sua musa.
Transition è il secondo disco di Lukather uscito per Mascot Label. Arriva a tre anni di distanza da All's Well That Ends Well e dopo un fitto periodo di attività live che lo ha visto impegnato con la reunion dei Toto, il tour col G3 al fianco di Steve Vai e Joe Satriani e, soprattutto, con la Ringo Starr Band, partecipazione che corona il suo sogno di beatlesiano accanito.
Mai titolo fu più azzeccato per sintetizzare la sua metamorfosi di quello scelto per questo lavoro scritto, arrangiato, suonato, cantato e co-prodotto (insieme a CJ Vanston, che è anche co-autore della maggior parte dei pezzi) dall’axeman californiano, che per la sua realizzazione ha coinvolto amici e collaboratori di vecchia data: Leland Sklar, Nathan East, Gregg Bissonette, Lenny Castro, Chad Smith, Toss Panos, Steve Weingart, Renee Jones, Tal Wilkenfeld, solo per citarne alcuni.
Luke ci aveva detto preventivamente di prestare attenzione ai testi e al suo cantato, aspetti che in questo disco ha curato in modo particolare, e se ne trova conferma fin dal primo ascolto. Le tracce offrono una tavolozza emotiva assai vasta e l’architettura del disco dispone le tracce secondo una parabola che narra di una caduta nell’oscurità e di una faticosa risalita verso la salvezza.
"Judgement Day" apre magistralmente l’album proiettandoci in un’atmosfera cupa e densa di rabbia. Dopo un intro elettronico, la chitarra chiama le strofe rotolanti in un crescendo che si stempera per poi esplodere in un chorus potente ed efficace. "Creep Motel", simbolico ritrovo di spregevoli individui che godono delle sventure altrui, è un fantastico shuffle molto bluesy che ci riporta ai tempi di Candyman, confermandosi un groove congeniale a Lukather, soprattutto se in compagnia di Lee Sklar e Gregg Bissonette. Nella toccante ballata "Once Again" fa breccia la malinconia che accompagna la fine di un amore e la perdita di un amico. In brani introspettivi come questo Lukather si conferma un interprete davvero eccezionale. Le tastiere in apertura di "Right the Wrong" ricordano certo il pop anni ’80, ma il brano si snoda in ben altra direzione, sviluppandosi in una ballata malinconica che si apre in un chorus imponente. La produzione massiccia non rovina l’equilibrio del brano.
Nel cuore del disco si trova la titletrack, il pezzo più strutturato dell’album. Composto di più sezioni e prevalentemente strumentale, dopo un breve intro dal sapore beckiano, cambia continuamente paesaggio passando da un esordio prog a melodiche atmosfere rarefatte che supportano una profonda riflessione sulla morte. "Last Man Standing" (il cui riff principale è stato suonato sulla Les Paul regalata a Luke dall’amico Joe Bonamassa) segna la svolta verso la rinascita nella parabola narrata dall’album, aprendosi ad atmosfere pop rock più leggere e a un testo pregno di positività. "Do I Stand Alone" è un brano rock molto easy, con un testo che affronta più ampie tematiche, come quelle della pace e della libertà. Prosegue nella stessa direzione "Rest of the World", un blues rock carico di influssi R&B in cui Luke si abbandona a fraseggi inequivocabilmente hendrixiani. Chiude l’album la cover strumentale della stupenda "Smile" di Charlie Chaplin, un brano molto amato dalla madre Kathy scomparsa nel 2010 e a lei dedicato.
Nessuno dei brani, che pure presentano parti e solo di chitarra meravigliosi, è in alcun modo chitarracentrico. Come dice lo stesso Lukather, c’è una maggiore attenzione al songwriting: tutto è misurato e rispettoso in primo luogo della canzone, insomma, è musica per chi vuole ascoltare una storia più che per chi è a caccia di shredder.
"Volevo rendere Transition un album grande, bellissimo e con un sacco di dettagli, sfumature e colori. Questo è quel che faccio ed è ciò che sono i miei dischi preferiti - Sgt. Pepper’s, Dark Side of the Moon, Electric Ladyland, Goodbye Yellow Brick Road", ha affermato.
Sicuramente non un assortimento di superhit. Transition è un disco rock riflessivo e godibile che rispecchia alla perfezione questa fase dell’esistenza di Lukather: curato in ogni singolo aspetto, ponderato, maturo, aggiunge un bel nuovo capitolo alla carriera di questo gigante con un percorso che davvero pochi possono vantare.
36 anni di attività e sentirli tutti, nel più positivo dei sensi.
Steve Lukather - chitarra, voce
CJ Vanston - tastiere
Steve Weingart - tastiere
Renee Jones - basso
Eric Valentine - batteria
Leland Sklar - basso
Nathan East - basso
John Pierce - basso
Tal Wilkenfeld - basso
Greg Bissonette - batteria
Chad Smith - batteria
Toss Panos - batteria
Phil Collen - cori
CJ Vanston - cori
Jenny Douglas McRae - cori
Richard Page - cori
Kristina Helene - cori
Renee Jones - cori
Jack Raines - cori
Lenny Castro - percussioni
Trevor Lukather - chitarra