di Oliver [user #910] - pubblicato il 03 novembre 2013 ore 08:00
Amo i blind tests. Non c’è altro modo per trarre conclusioni accettabili in un confronto, se non quello che prevede delle misurazioni strumentali, che però mal si applicano a molti aspetti che riguardano gusto e sensibilità.
Amo i blind tests. Non c’è altro modo per trarre conclusioni accettabili in un confronto, se non quello che prevede delle misurazioni strumentali, che però mal si applicano a molti aspetti che riguardano gusto e sensibilità.
La rete pullula di esempi nei quali si confrontano strumenti simili o diversissimi, con approcci e risultati molto vari e, spesso, molto discutibili: le tecniche di registrazione, la compressione del suono, le capacità dell’esecutore e la sua oggettiva neutralità, i suoni scelti per la prova, la parità di condizioni di partenza (nei limiti del possibile) sono tutti elementi che possono falsare pesantemente il risultato, causando discussioni e polemiche (perlopiù sterili).
Nell’edizione della nota rivista inglese Guitarist di agosto, la cui copertina è dedicata agli amplificatori boutique, c’è però un blind test condotto in maniera più originale e, a mio avviso, molto significativa. Vale la pena di darci un'occhiata.
Dopo avere analizzato e testato cinque esemplari di varie marche, la redazione ha organizzato una prova con i seguenti criteri: i quattro tester (tre componenti della redazione, di grande esperienza, più un collezionista) hanno suonato quattro diversi amplificatori, nascosti dietro un pannello e settati allo stesso livello di volume. Due di questi erano boutique, un Morgan AC20 e un 3 Monkeys Grease Monkey, gli altri due dei normali amplificatori… "di tutti i giorni", senza specificarne marca e modello. La seconda parte della prova prevedeva l’ascolto degli stessi amplificatori, sempre nascosti, ma suonati dagli altri tester. Il duplice approccio mi è subito parso corretto, perché consente di mettere in luce sia l’effetto oggettivo del suono (cioè quello che viene percepito dall’ascoltatore), sia quello soggettivo (la capacità di rispondere allo stile esecutivo del musicista).
I risultati, come si può immaginare, sono tutt’altro che scontati e consiglio, oltre alla lettura dell’articolo, l’attento ascolto dell’intero video.
Per completezza, qui c’è la prova dettagliata di tutti gli amplificatori-boutique di cui si parla nell’articolo di Guitarist.
Per chi non ha familiarità con la lingua d’Albione, riassumo sinteticamente: - la sensazione di tutti i tester è stata la medesima: le differenze di feel tra i diversi amplificatori sono notevolissime, ma quando si ascolta un altro musicista che li suona, risultano molto meno diversi tra loro. In sostanza, per un pubblico medio in ascolto, non si noterebbe alcuna differenza (ricordo che il confronto è con amplificatori di media qualità, non con schifezze). - tutti i tester convengono sul fatto che sia facile scegliere l’amplificatore che "piace di più" mentre lo si sta suonando, ma che diventi molto difficile, anche dopo averli personalmente provati tutti, riconoscerli quando vengono suonati da qualcun altro. Non risultano poi così diversi, in sostanza. - tre tester su quattro, nonostante l'esperienza, hanno riconosciuto esattamente un solo amplificatore su quattro... - uno solo ha distinto correttamente i due boutique dai due "normali".
- Ma la vera sorpresa è la seguente: i due amplificatori anonimi erano un Fender Hot Rod De Ville 2x12 e un... Line 6 DT25.
Alla domanda "Qual è il vostro amplificatore preferito?" Tre su quattro hanno scoperto di avere scelto il comunissimo Fender. Addirittura in un caso il Line 6 è stato collocato al secondo posto!
La morale sembrerebbe scontata: gli ampli boutique non valgono quello che costano. In realtà non sarebbe corretto. Il discorso può essere un po’ più articolato e meno ovvio. La scelta, anche quella di tester così esperti, è sempre fatta in base a gusti personali, che sono oggettivamente influenzati da condizionamenti esterni: mode e tendenze, abitudini personali, modelli di riferimento. Un onesto amplificatore come l’Hot Rod De Ville, che non è nulla di esoterico ma ha un timbro e un comportamento mediamente di discreto livello e, soprattutto, familiare al chitarrista medio, non è così caratterizzato da portare il musicista verso una direzione precisa e quasi obbligata, alla fine risulta gradevole perché fa abbastanza bene quello che già siamo abituati a gradire. L’ampli boutique, invece, può avere quel non-so-che che asseconda le inclinazioni di un particolare musicista con le idee particolarmente chiare e originali, e che quindi sarà ben disposto a sganciare la grana in più necessaria a raggiungere gioiosamente i propri obiettivi sonori, mentre potrebbe risultare inutilmente costoso, se non addirittura sgradito a molti altri. L’unica cosa assolutamente certa è che... gli occhi non aiutano. Anzi.
Nota della Redazione: Accordo è un luogo che dà spazio alle idee di tutti, ma questo non implica la condivisione di ciò che viene scritto. Mettere a disposizione dei musicisti lo spazio per esprimersi può generare un confronto virtuoso di idee ed esperienza diverse, dando a tutti l'occasione per valutare meglio i temi trattati e costruirsi un'opinione autonoma.