Amate dai professionisti e agognate dagli appassionati, le chitarre Music Man non sono facili da trovare nei negozi italiani, ma un incontro ravvicinato con l'elettronica singolare e il manico atipico di una Steve Morse signature modello Y2D può riservare sorprese inattese.
I grandi nomi nel mercato della chitarra elettrica non sono molti e tutti li conoscono, eppure alcune marche in particolare, seppur di indiscussa fama e riconosciuta qualità, contano per motivi di varia origine una diffusione piuttosto limitata ed è abbastanza difficile trovare informazioni di prima mano. È il caso dei nobilissimi strumenti Music Man (ora di proprietà Ernie Ball), che tra le miriadi di Stratocaster, Telecaster, Les Paul e Ibanez si vedono molto di rado, solitamente al collo di grandi artisti ma molto raramente nella vita di tutti i giorni. Music Man è, come tutti sanno, una creazione dell’intramontabile genio che ha reso possibile la passione che ci anima, il buon vecchio "Leo", e questa premessa non poteva che portare alla realizzazione di prodotti validi e innovativi. I bassi Music Man sono leggendari e bramati da sempre, ma le chitarre non hanno mai avuto lo stesso successo di pubblico, nonostante la loro associazione ad artisti di assoluta fama mondiale che, immagino non a caso, ne sono rimasti endorser per decenni senza mai cambiare "casacca": Albert Lee, John Petrucci, Steve Lukather... solamente Eddie Van Halen se n’è andato, ma ha continuato a riprodurre la stessa formula prima con Peavey, poi con il proprio marchio, e la sua signature si è evoluta nel modello Axis.
Eppure pochi possono dire di avere suonato e di conoscere questi strumenti. È questo il motivo che mi ha spinto a scrivere queste righe. Tra gli estimatori di lunga data del marchio c’è l’inossidabile Steve Morse, gran musicista con una robusta esperienza maturata in lunghi anni di rock/fusion (spruzzata anche di country) dapprima con i Dixie Dregs, poi come solista e come membro dei Kansas, divenuto poi celebre con l’ingresso in pianta stabile nella line up dei Deep Purple. Da sempre grande sperimentatore, fin da subito si è fatto notare per le sue chitarre customizzate, solitamente a partire da una Fender Telecaster, sulla quale installava un numero imbarazzante di pickup e switch che solamente un pilota (quale in effetti è) avvezzo al cockpit di un aereo sarebbe stato in grado di gestire.
La prima Music Man con la sua firma rispecchia in pieno la sua personalità, sfoggiando un’infilata di ben quattro pickup nell’insolita configurazione H-S-S-H, controllata da ben tre selettori, uno a due posizioni e due a tre posizioni. Da perderci la testa... I due humbucker sono DiMarzio, costruiti su specifiche di Morse. Il ponte può essere floating o fisso, anch’esso in una configurazione inusuale per una chitarra stratoide: Tune-O-Matic più stop bar (fissata direttamente al top, senza piloncini).
Il secondo modello signature è più recente, ed è quello del quale vi posso parlare perché ne sono stato in possesso per un certo periodo. La versione SM-Y2D è una evidente evoluzione del primo modello, dal quale si discosta per alcuni adattamenti volti essenzialmente a renderne più razionale e pratico l’utilizzo (sempre relativamente alle abitudini di Steve, comunque). Scompaiono i due toggle switch, uno dei quali era posizionato piuttosto scomodamente sotto il single coil inclinato, e scompare il single coil vicino al neck-humbucker. I pickup restano quindi tre, in configurazione H-S-H, ma con una disposizione molto originale, tipica delle chitarre di Morse: il single coil è posizionato accanto al bridge-humbucker, quasi a formare un unico pickup a tre bobine. Nell’intenzione di Morse il suo scopo è principalmente quello di modificare leggermente il voicing dell’humbucker, infatti consiglia di regolarlo a una distanza maggiore dalle corde, calibrata al fine di ottenere l’effetto desiderato. Il selettore dei pickup è ora un classico (apparentemente) cinque-posizioni di ispirazione fenderiana, e le combinazioni sono esattamente quelle che ci si aspetta. Ma poi possono entrare in gioco i due push-pull sui potenziometri di volume e tono, che consentono numerose altre combinazioni in serie e in parallelo. Questa scelta, che sicuramente rispetta la filosofia di uno strumento costruito per e con un particolare artista, potrà sembrare superflua ed eccessiva per la maggior parte di noi. In effetti mi sono sempre ritrovato a utilizzare essenzialmente due suoni, a volte tre. Ma sapere che sotto il cofano c’è un sacco di roba (dovesse mai servire) e che tutto questo non interferisce assolutamente con un utilizzo "normale" e con un’estetica pulita ed elegante, male non può fare. E parliamo di estetica. La chitarra è splendida, in particolare nella finitura Purple Sunset che esalta il pregiato acero del top (quilted o flame).
Un largo binding bianco, piuttosto arretrato nella fascia, separa il top dal resto del body in pioppo, verniciato in nero coprente. Il manico, in un meraviglioso acero birdseye, è lasciato al naturale e finito a olio, a eccezione della paletta. Il mio modello aveva la matched headstock, con la sfumatura porpora a richiamo del sunburst del body. Devo dire che questa finitura (che è un optional con sovrapprezzo), dovrebbe essere realizzata meglio: sull’acero della paletta non viene infatti stesa la base ambrata come sul body, e di conseguenza il colore porpora trasparente assume una colorazione diversa, più violacea. Un vero tocco di classe sono i pickup, tutti firmati Steve Morse, che a prima vista sembrano essere neri, ma sono in realtà di un color porpora molto scuro: Deep Purple!
Veniamo ora al suono. Appena si indossa lo strumento, la sensazione è entusiasmante. Leggero e perfettamente bilanciato, sembra di non averlo addosso. Sembra piccolissimo, ma è solamente una suggestione dettata dalla particolare paletta, davvero molto piccola nonostante le corpose meccaniche Shaller Locking (precisissime e stabili). Ma è impugnando il manico che si scopre il vero punto di forza di questa chitarra. Scala 25 e 1/2, raggio 12", profilo curvo che ricorda un Gibson ’50 ma più comodo, feel… da paura: la finitura è talmente perfetta che sembra di averlo usato da sempre. Tanto che solo dopo un po’ ho notato le proporzioni della tastiera, decisamente più stretta rispetto agli standard ai quali siamo abituati: solamente 41,3 mm al capotasto. Eppure non crea alcuna difficoltà. Anzi, l’ho trovata decisamente comoda. La tastiera in palissandro è rifinita allo stesso livello, con dei tasti posati e lavorati perfettamente e dei discreti dot di piccole dimensioni, molto eleganti. Il punto di innesto del manico con il body è sagomato per un’accessibilità totale e comoda, con ben cinque viti che rendono l’insieme solidissimo e stabile. E la chitarra, infatti, vibra come un violino. Godimento puro. Le corde risuonano forte e chiaro in ogni posizione della tastiera e l’intonazione è eccezionale, anche grazie al capotasto Earvana che viene montato di serie.
Collegando il jack ci si perde un po’ nel testare le innumerevoli combinazioni dei pickup, per poi rendersi conto che, a meno di non avere particolari e sofisticate esigenze di registrazione, le cinque sonorità standard messe a disposizione dallo switch sono già più che sufficienti. Fin troppe, per me. La voce di questo strumento è sicuramente di classe, estremamente bilanciata e nitida, con una eccellente separazione tra le singole corde anche nell’esecuzione di accordi poco ortodossi con sonorità crunch o distorte: una prerogativa degli strumenti di razza. Si comporta benissimo sia nelle ritmiche sia negli assolo, gli humbucker hanno un bel timbro e reagiscono bene al controllo del volume, le configurazioni single coil sono credibili quanto basta. Fin qui la piccola chitarra ha superato tutti gli esami a pieni voti e con lode. Dico fin qui perché una chitarra non si può provare da sola. Il vero esame è nel mix di una band, suonando il genere che si intende suonare. Nella tranquillità della propria sala prove (o camera) tutto sembra sempre suonare al meglio, ma quando cominciano a sommarsi le frequenze degli altri le cose cambiano. Ed è qui che la splendida Music Man ha rivelato, ahimè, di non essere la chitarra più giusta per me.I pickup voluti da Steve Morse sono abbastanza particolari e hanno una risposta che può non piacere a tutti. La sensazione (che poi ho constatato essere abbastanza diffusa, leggendone su vari forum) e che questi pickup abbiano una sorta di compressore che si attiva oltre una certa soglia di volume (forza della pennata): è come se la curva di risposta, dopo una crescita costante, si appiattisse di colpo a prescindere dall’entità della sollecitazione impressa alla corda. Questo si traduce, nella pratica, in una sorta di freno che mantiene la chitarra nel mix e le rende più difficoltoso uscirne per passare in primo piano, quando serve. Sicuramente questa caratteristica non casuale, che nel rock classico può essere un handicap, viene invece apprezzata dai musicisti fusion-oriented, che solitamente prediligono suoni più morbidi e flautati, che strizzano l’occhio ai fiati o alle tastiere e gradiscono una maggiore uniformità. Per questo motivo, non senza un notevole dispiacere, io e la mia MusicMan abbiamo preso strade differenti. Questo strumento mi ha comunque lasciato una eccellente impressione e mi ha acceso la curiosità di provare altri esemplari di questa marca. Non è detto che, prima o poi, non trovi quello proprio giusto per me.
Una scheda dettagliatissima e molto precisa dello strumento è .
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