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Turnismo al femminile: Carol Kaye
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di LaPudva [user #33493] - pubblicato il 02 giugno 2014 ore 08:00
Dietro alcuni dei più grandi successi musicali degli ultimi decenni, in studio, c'è una donna, la stessa donna. Con oltre 10mila brani tra sessioni di chitarra e di basso, Carol Kaye è un esempio vivente di professionalità e passione, un riferimento che non può mancare nella formazione di qualunque musicista.
Dietro alcuni dei più grandi successi musicali degli ultimi decenni, in studio, c'è una donna, la stessa donna. Con oltre 10mila brani tra sessioni di chitarra e di basso, Carol Kaye è un esempio vivente di professionalità e passione, un riferimento che non può mancare nella formazione di qualunque musicista.
Poco più di un mese dopo la conclusione del concorso «FBT cerca batteriste», che su Accordo ha visto sfidarsi alcune musiciste davvero talentuose, per noi sorge spontaneo gettare uno sguardo sulla professione-musica al femminile con rinnovato interesse, grande ottimismo e molte aspettative. Altrettanto spontaneo sorge il desiderio di ampliare la riflessione, collocandola in una prospettiva storica e rintracciando alcune delle protagoniste che sono state pioniere in un’epoca che non regalava troppo facilmente la notorietà alle donne in musica.
Benché le grandi strumentiste non siano mai mancate, infatti, il rilievo che la donna ha in certi ambiti della produzione musicale è una conquista tutto sommato recente. Nomi come quelli di Sheila E, Jennifer Batten e Gail Ann Dorsey, oppure, tra le nuove leve, quelli di Orianthi e Tal Wilkenfeld, oltre a vantare collaborazioni prestigiose, godono di grandi popolarità, stima e considerazione presso pubblico e colleghi. Purtroppo non è stato sempre così e probabilmente è per questo motivo che, a oggi, un nome leggendario della musica mondiale come quello di Carol Kaye rimane confinato perlopiù all’ambito degli addetti ai lavori e degli appassionati, mentre meriterebbe fama decisamente maggiore e avrebbe molto da insegnare alle nuove leve.
Difficile racchiudere in un articolo l’incredibile carriera di questa musicista: avendo suonato in più di 10mila brani (tra sessioni di chitarra e di basso) nel giro di 55 anni di attività, è la più grande session woman di tutti i tempi e, considerando i brani sui quali ha suonato, non è esagerato definirla come una delle più grandi protagoniste della musica del secolo scorso, che ha contribuito a plasmare. È letteralmente impossibile che non l’abbiate mai sentita suonare e per dimostrarvelo sarà sufficiente menzionare soltanto pochissimi di quei brani: alla chitarra "Unchained Melody" dei Righteous Brothers, "La Bamba" di Richie Valens, "The Beat Goes On" di Sonny & Cher, "Bang Bang" di Cher, "What the World Needs Now" di Jackie De Shannon. Al basso "Light My Fire" dei Doors, "Good Vibrations", "Help Me Rhonda", "I Get Around" e "California Girls" dei Beach Boys, "River Deep", "Mountain High" di Tina Turner, "Something Stupid" di Frank e Nancy Sinatra, "These Boots Are Made for Walking" di Nancy Sinatra, "I’m a Believer" dei Monkees, "Feeling Alright" di Joe Cocker, "The Way We Were" di Barbra Streisand, "I Was Made to Love Her" di Stevie Wonder, "Ain’t No Mountain High Enough" di Diana Ross, "A Little Less Conversation" e "Suspicious Mind" di Elvis e poi le colonne sonore di film come Romeo e Giulietta e Il Padrino eseguite dall'orchestra di Henry Mancini, o di serie tv come Mission Impossibile, M*A*S*H*, Ironside, Kojak, Le strade di San Francisco, la Famiglia Addams, Wonder Woman, Bonanza e Love Boat. Sembra impossibile, vero? Eppure tutta questa storia sta dentro a una settantanovenne americana ancora in attività, la cui carriera dovrebbe essere presa a esempio da chiunque intenda intraprendere questo percorso professionale. Andiamo, dunque, a conoscerla meglio.
Nata in una famiglia di musicisti nel 1935 a Everett, nello stato di Washington, si trasferisce a Los Angeles sei anni dopo. Ancora ragazzina, oltre a frequentare regolarmente la scuola, lavora duramente come donna delle pulizie e come babysitter per aiutare la madre, in forte difficoltà economica dopo il divorzio dal padre di Carol. A tredici anni, la madre le regala una chitarra comprata da un viaggiatore ambulante e le permette di accompagnare un’amica a prendere lezioni di chitarra a Long Beach. L’insegnante, Horace Hatchett (già insegnante del chitarrista jazz Howard Roberts), la sente suonare e le propone di lavorare per lui in cambio di qualche lezione di chitarra. Dopo soli tre mesi di lezioni, comincia ad affiancare il maestro nell’insegnamento e a suonare jazz nei club. «Ero una bambina solitaria e tutto quello che avevo era suonare la chitarra e guadagnare, quindi facevo queste gig che mi permettevano di prendermi cura di me e di mia madre». In breve tempo le sue collaborazioni si moltiplicano e, appena diciannovenne, parte per il suo primo vero tour con una big band. Dal ’56 al ’63 suona bebop nell’area di Los Angeles, perlopiù in locali black. Una fortunata sera del 1957, il destino porta Bumps Blackwell (musicista, compositore, arrangiatore e produttore per artisti del calibro di Little Richard, Ray Charles, Quincy Jones, Sly & The Family Stone e altri) al Beverly Caverns, locale losangelino in cui la Kaye suona con Teddy Edwards, Curtis Counce e Billy Higgins. Colpito dall’allora poco più che ventenne chitarrista, le offre l’opportunità di registrare per Sam Cooke. Non le piace molto l’idea, ma all’epoca ha già divorziato dal primo marito e ha due figli da mantenere, oltre a suonare molto nei club ha un lavoro diurno per poter campare e tutto sommato l’idea di arrotondare non è sconsiderata. Con le sessioni di Cooke ha inizio la sua lunga carriera di turnista. «Era divertente e venivo pagata bene. Guadagnavo più lì che in tutto il resto della settimana col mio lavoro diurno e la cosa mi permetteva di prendermi cura dei miei due figli e di mia madre. Sapevo che cominciando a fare quei turni i miei giorni nel jazz sarebbero finiti presto, era roba totalmente diversa. Poi ebbi un altro matrimonio e un terzo figlio, ma non funzionò. E un giorno in studio mi diedero un basso e mi piacque molto!» La già sorprendente carriera della Kaye, infatti, subisce un’impennata quando negli studi della Capitol Records, nel lontano 1963, imbraccia il basso Fender di un turnista che non si presenta alla sessione, diventando in brevissimo tempo la bassista più gettonata in assoluto, grazie alle originali linee di basso che riesce a creare. La Kaye, infatti, oggi viene ricordata prevalentemente come bassista, versante sul quale effettivamente il suo contributo è stato forse più incisivo. Sempre molto concreta nel suo approccio alla musica come fonte di sostentamento, passò dunque allo studio del basso, allo scopo di incrementare il proprio lavoro in studio, in un’epoca in cui c’erano molti pregiudizi nei confronti delle donne nelle sezioni ritmiche. Epoca in cui, inoltre, ai turnisti non veniva ancora riconosciuto alcun credito: come ricorda la stessa Kaye, «quasi nessuno ci nominava sugli album negli anni ’60. Credo che i produttori e le case discografiche non volessero che chi comprava i dischi – gente giovane, teenager – sapesse che i musicisti che avevano suonato in studio, dei non-rocker dell’età dei loro genitori, avessero registrato tutta la musica che stava acquistando. […] Ma non ci importava a quei tempi. Avere il lavoro ed esser pagati era quello che interessava alla maggior parte di noi, che avevamo famiglia». Così la Kaye, forte di una solida formazione di estrazione jazzistica e sempre animata da una grande voglia di sperimentare, ha dato un inconfondibile carattere a innumerevoli brani, lavorando per quasi tutte le sessioni di Phil Spector degli anni ’60, incidendo per Brian Wilson in molti brani dei Beach Boys e soprattutto nel leggendario album Pet Sounds (disco che ha influenzato molti musicisti, tra cui Paul McCartney, che, senza sapere chi le avesse ideate ed eseguite, ha definito quelle linee di basso la cosa più interessante del disco), avventurandosi nel territorio delle produzioni della Motown, passando per le colonne sonore per il grande schermo e, in un periodo di crisi cinematografica, per il boom delle serie tv. A chi le chiede come sia stato per lei immergersi in un mondo quasi esclusivamente maschile, risponde: «Non ho mai pensato a me come a una donna, pensavo solo al fatto che dovessi suonare la chitarra o il basso. Le note non hanno sesso, o suoni bene o non lo fai! Ci sono persone che non riescono ad accettarlo, soprattutto uomini. Avevano bisogno di pensare che fosse un uomo a suonare, era una questione sessuale. Ma se sentite qualcuno con le palle, quella sono io!» Carol Kaye ha avuto una lunga e prolifica carriera anche perché ha saputo integrare le sue indubbie doti musicali con un grandissimo rigore. Con un’attenzione particolare alla puntualità (la Musician’s Union multava i ritardatari), al lavoro di squadra (ha capito presto l’importanza di non ragionare individualmente e di non voler primeggiare nel lavoro in studio, dove il solismo, laddove non richiesto, può rivelarsi estremamente controproducente) e all’umiltà nell’accettare i turni (molti turnisti erano ottimi strumentisti che sentivano di banalizzarsi nel dover suonare pezzi rock per il committente di turno in vetta alle hit parade, mentre per la Kaye era irrilevante che la musica le piacesse o meno, e accettava la sfida di creare qualcosa che potesse far letteralmente decollare i brani), è diventata presto la collaboratrice di riferimento per svariati giganti della musica. A un tratto, però, l’evolversi del music business comincia a renderle sempre meno gradita la sua attività di session woman e così, intorno al 1969, sceglie di dedicarsi all’insegnamento e ai libri, limitando il lavoro in studio a colonne sonore per il cinema e la tv, per poi tornare a suonare bebop con Joe Pass e poi con Hampton Hawes. L’insegnamento, suo primo amore, torna dunque a essere un’attività primaria: oltre ad aver scritto metodi che sono ormai degli standard (Sting ha affermato di aver imparato tutto dai suoi libri) e realizzato svariati video didattici, la Kaye ha insegnato in diverse università e formato numerosissimi professionisti, tra cui Mike Porcaro e David Hungate (bassisti dei Toto), Alf Clausen (popolare compositore di colonne sonore) e molti altri. Attualmente impartisce lezioni private via Skype. Dopo più di mezzo secolo di professionismo, la Kaye si dice fiera del lavoro svolto al servizio della musica ed è felice che molti dei pezzi in cui ha suonato abbiano allietato la vita di così tante persone. Senza andare troppo sul sottile, ammette candidamente che molte di quelle incisioni non rappresentavano per lei che del lavoro e di non considerarle musica di alta qualità, fatta eccezione per alcuni brani davvero strepitosi (tra questi ricorda “Feelin’ Alright” di Joe Cocker, alcuni pezzi di Ray Charles e dei Beach Boys).
L’esempio di Carol Kaye è significativo sotto più di punti di vista. Oltre a rappresentare un caso senza precedenti di turnismo al femminile (e probabilmente a oggi rimane la persona che ha realizzato più incisioni al basso nella storia della musica, indipendentemente dal sesso), è anche una storia di riscatto sociale attraverso la musica: mentre dava il suo contributo alla storia della musica leggera, infatti, la Kaye provvedeva alle necessità dei figli e della propria madre da donna divorziata e single. Affidabile, competente, versatile e dalla personalità molto forte, era in grado di sostenere turni pesantissimi, facendosi sempre rispettare dai colleghi (rimane storico l’episodio in cui, insultata dal chitarrista Tommy Tedesco, lo rimise al suo posto dapprima verbalmente e poi per vie legali). Un’icona della musica, dunque, ma anche un perfetto esempio di emancipazione femminile in un’epoca in cui nessuna delle due cose era di facile realizzazione ma, soprattutto, una musicista che non ha ancora portato a termine la sua missione. Un’artista del calibro della Kaye meriterebbe indubbiamente una menzione speciale negli annali della musica mondiale e maggiore popolarità, non tanto ‒ o non solo ‒ per tributarle un giusto riconoscimento, quanto piuttosto perché riconoscere il valore della sua carriera e investigarla può realmente fornire infiniti spunti a ogni aspirante musicista e arricchire qualunque musicofilo.
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