di Pietro Paolo Falco [user #17844] - pubblicato il 05 dicembre 2014 ore 07:30
Protagonista di pagine importanti della storia del metal, solista di rilievo e compositore dal gusto ricercato, Marty Friedman sta girando l'Italia per promuovere il suo nuovo album: Inferno. Nel tour, i microfoni di Accordo sono una tappa obbligata.
Protagonista di pagine importanti della storia del metal, solista di rilievo e compositore dal gusto ricercato, Marty Friedman sta girando l'Italia per promuovere il suo nuovo album: Inferno. Nel tour, i microfoni di Accordo sono una tappa obbligata.
Alcuni degli album più influenti dell'heavy metal portano il suo nome. Dalle derivazioni virtuose con i Cacophony al thrash più violento dei Megadeth, Marty Friedman ha sempre affiancato ai lavori con le band un interesse speciale verso la carriera da solista. All'attivo Marty ha più di dieci dischi, di cui l'ultimo è uscito nel 2014. Il titolo dell'album è Inferno e vede il chitarrista destreggiarsi attraverso dodici tracce caratterizzate dalle influenze più disparate e arricchite da collaborazioni con artisti provenienti da ogni angolo del mondo e dalle estrazioni stilistiche più lontane. Il risultato è un mix di sonorità ora classiche (e classicheggianti), come in "Horrors" (scritto insieme a Jason Becker), ora devastanti come in "Sociopaths", fino a toccare la pura sperimentazione moderna con "Meat Hook". In questi giorni, Marty è impegnato in una serie di date attraverso l'Italia per promuovere il disco. L'occasione della recente clinic a Caserta era troppo ghiotta per non piazzargli una telecamera davanti e conoscere meglio il lavoro dietro Inferno.
Pietro Paolo Falco: Per Inferno hai lavorato con Prosthetic Records, famosa per band ultra moderne come gli Animals As Leaders, mentre tu provieni da correnti stilistiche totalmente diverse. Credi che il prodotto finale sia stato in qualche modo influenzato dalla nuova label? Marty Friedman: No, e la ragione per cui ho lavorato così bene con Prosthetic è che mi hanno detto "fai tutto quello che ti pare, nessun termine per la consegna, prenditi il tempo che ti serve". Ci ho messo 16 mesi, che è davvero tanto tempo per me, ma loro sono stati molto aperti, non hanno messo bocca sull'aspetto creativo. Si sono occupati molto della promozione e del marketing, ma per i contenuti sono stati molto disponibili a rispettare quello che volevo fare.
PPF: Hai incontrato approcci simili anche con gli album precedenti? MF: In un po' tutti i miei album solisti i contenuti sono stati a mia discrezione, poi l'etichetta si occupa del resto. Non è un modo super commerciale di fare dischi, ma è fondamentale soprattutto per un lavoro solista.
PPF: In Inferno c'è anche qualcosa di davvero lontano dai canoni del metal, classico o moderno che sia. Ascolto "Undertow" e mi sembra di avvertire qualcosa di vicino ai pochi esempi di musica orientale contemporanea che ci arrivano in occidente con film e cartoni animati. La vita in Giappone cambia il modo in cui si vede il metal e la musica in generale? MF: Vieni influenzato senza dubbio dall'ambiente che ti circonda. È corretto ciò che hai notato: non è una melodia dalla sonorità americana. Non è espressamente neanche asiatica o giapponese, ma il feeling è molto giapponese, lo è l'aspetto emozionale, in un certo senso. Il brano è influenzato molto dal fatto che io abiti in Giappone. Si tratta di un processo davvero naturale. Vivo in Giappone da dieci anni ormai, e semplicemente le sensazioni che provo quando faccio della musica provengono da qualcuno che vive in quel Paese. Ciò non vuol dire necessariamente essere influenzati da uno stile musicale in particolare, ma dall'ambiente stesso.
PPF: Attraverso la tracklist, ti sei circondato di numerosi featuring da tutto il mondo passando dalle chitarre classiche al sax. Come sei arrivato a un mix simile? MF: Sono sempre alla ricerca di cose mai fatte prima, e mi piace sbizzarrirmi con gli esperimenti. Se il risultato non mi soddisfa mi limito a buttarlo via, ma quando funziona nasce qualcosa di totalmente nuovo. Al sassofono in "Meat Hook" c'è Jørgen Munkeby degli Shining. Non sono mai stato un grande fan del sax, soprattutto nel rock, e non l'avevo mai sentito prima nel metal, ma quando ho ascoltato gli Shining sono stato così colpito dal modo in cui è riuscito a farmelo piacere che ho voluto assolutamente collaborare con lui. È stato un esperimento, direi ben riuscito!
PPF: Alcuni, quando sentono il piano e il sax, pensano "è jazz!". Ma quanto il suono fa il genere e quanto lo fanno le note? MF: Di solito si sente il sax nel jazz, nell'RnB, e la gente è portata ad associarlo automaticamente a quei generi. In effetti, il contenuto del brano è abbastanza jazzistico, ma le chitarre sono così aggressive, distorte e dure che suona come heavy metal… è strano, è molto jazz-oriented, anche se non sono per niente un musicista jazz! Contiene molte dissonanze, potrebbe essere jazz con uno spirito metal? Non lo so, per me è semplicemente "moderno", è un incidente ferroviario che alle mie orecchie risulta suonare molto bene!
PPF: Torniamo a parlare di chitarre. Oltre a toni drop, nel disco sembra di sentire anche una baritona, in "Resin" per esempio. Parlami del tuo rapporto con drop tuning e strumenti meno convenzionali come otto-corde, baritone… MF: Esatto, ho usato una baritona su diverse tracce e uso spesso accordature drop. Uso molte accordature diverse per le parti ritmiche, ma nulla di davvero strano. Magari una drop D, abbasso tutto in B o cose del genere, ma niente di troppo cervellotico e che non si riesca a replicare facilmente dal vivo.
PPF: Ti vedremo mai con le chitarre a otto o nove corde che sembrano conquistare sempre più spazio nella scena metal? MF: Probabilmente no… Voglio dire, mi piace provare tutto almeno una volta, ma ho abbastanza problemi già con una sette-corde!