Il fraseggio è al top, sempre centrato e ben strutturato. I crismi del suo stile ci sono tutti e si diverte a scrivere frasi di botta e risposta, armonizzazioni, duelli di solismo con se stesso.
Diversi brani si basano su riff di chitarra appena in crunch, ricchi di note stoppate e sincopi che contribuiscono a dare groove all'insieme, ricordando passaggi funk nelle tracce più lente e sfociando nel puro country quando i bpm vanno più su.
Non mancano le saturazioni più consistenti e la canzone d'apertura ne dà subito un assaggio. In "Back When The Beano Was Boss", Buddy ripercorre non senza nostalgia l'esplosione del fenomeno Marshall più Les Paul di cui Clapton si fece portavoce. La traccia trasuda passione e lascia intuire quel velo di feticismo verso la chitarra e i suoi mille suoni che sarà un po' il filo conduttore del disco.
Subito dopo infatti, "Deadwood and Wire" è un inno alla Gear Acquisition Syndrome puro e semplice, con tutti i luoghi comuni e le immagini ricorrenti di qualunque appassionato di chitarre che, in fondo, non fa altro che trattare
deadwood, magnets, switches, solder and wire. C'è tutto, dall'abbandono della vecchia Jackson rosa shocking (
endorsed by some six-strang Svengali) per timore di non essere presi sul serio nel giro dei veri bluesman alla ricerca del graal tra Fender d'epoca, il fascino delle Gretsch e la costosa bellezza dei top in acero figurato, fino alla conclusione che
an old Fender is nice, but considering the price I think I sound about the same on a Squier.
Buddy affronta gli undici punti della tracklist col piglio del classico maniaco del sound. Ogni canzone ha un suo tone specifico, è possibile sentire suoni da Les Paul, Telecaster e Stratocaster (probabilmente ) da manuale, puliti o distorti, canterini o più percussivi.
Dal tono aggressivo di "Ain't Got the Scratch" e "Fender Champ", all'accompagnamento compresso e nasale di "Six String Romance" fino al clean caldo di "for Crystal Beach" e alla baritona di "My World Revolves Around You",
Six String Svengali è un'enciclopedia di suoni di chitarra rock, blues e country.
È chiaro che le scelte timbriche non sono semplicemente dovute a necessità d'incisione: Buddy le cerca, ci si diverte, e la chitarra diventa in più di un'occasione protagonista anche dei suoi testi. Non c'è bisogno di spiegare titoli come "Fender Champ" o "Six String Romance", ma c'è spazio anche per un tributo allo stile di blues-rock nato alla texana. In "Texas Trios", Whittington tesse le lodi del power trio: chitarra, basso e batteria.
Nothing you don't need, ricorda nel testo. Curioso che, proprio in questo pezzo, sia più evidente l'intervento di due chitarre con addirittura un'armonizzazione finale.
Le canzoni sono un susseguirsi di storie, considerazioni a volte anche divertenti. A parte sparute eccezioni, il canto non si lascia mai andare a melodie più elaborate, preferendo il racconto ai limiti del parlato. "For Crystal Beach" è l'unica traccia strumentale del disco. Qui il sound di Buddy è cristallino, caldo, l'atmosfera è soffusa. Il brano è dedicato alla zona della Bolivar Peninsula in Texas, devastata dall'uragano Ike nel 2008.
Il suo suono più dolce e a tratti romantico prepara alla chiusura con "While We're Here", ballad dal testo malinconico che vede l'interessante scelta di doppiare tutta la parte di chitarra elettrica con un'acustica all'unisono: un ultimo vezzo prima del fade finale.
Non è l'ultima novità dell'anno, ma il terzo album a nome della Buddy Whittington Band pubblicato nel 2011 merita a pieno titolo un posto nella collezione di ogni chitarrista per diventare la colonna sonora di ogni attacco di GAS o di nostalgia per il buon rock, blues e country senza troppi fronzoli e con tanta sostanza.