Nel poco funzionale, lo ammetto, trio con due chitarre acustiche più una (bella) tastiera, mi sono ritrovato spesso a fare la chitarra ritmica, vuoi per la mia scarsa dimestichezza col plettro (suono con le unghie da quando avevo 13 anni), vuoi per la pacatezza della maturità (anche se siamo tre coetanei), vuoi per la stanchezza della giornata di lavoro sulle spalle, e tutto questo mi ha indotto però a pensare.
Quanto è bello accompagnare, meglio ancora se si ha un minimo di bagaglio tecnico aggiungendo un po’ di swing, qualche walking-bass, degli arpeggi meno scontati del solito, insomma un po’ di mestiere.
È questo il mio elogio della chitarra ritmica, il godere del solo che si sta dipanando davanti a te ma che senza il tuo supporto sarebbe solo un discorso vuoto, il piacere dell’accordo che si incastra a perfezione col bending, il sorrisetto di complicità del solista quando azzecchi bene quel passaggio difficile e il senso di appagamento generale della conquista del pezzo su cui si lavora, compreso l’aver finalmente trovato, magari, quell’accordo semidiminuito che ci sfuggiva da tanto.
Mi sembra che molti guitar hero, raggiunta la soglia della loro maturità artistica, vivano un momento di ripiegamento intimista, tornando a passaggi meno furoreggianti, armonie più complesse ma prive di tecnicismi solistici, e i più giovani di noi spesso vedono questi lavori come il segnale più evidente della loro decadenza artistica, facendola coincidere inevitabilmente con quella anagrafica e conseguentemente fisica. Anche io la pensavo così, poi la potenza degli anni passati e accumulati sulle spalle mi ha fatto cambiare idea.
Invecchiare non è necessariamente un male, o meglio lo è perché inesorabilmente toglie dal nostro personale calendario dell'Avvento quei giorni che abbiamo in dotazione. È però, se sfruttata con intelligenza, una grandissima arma a nostra disposizione per interpretare al meglio tutte le complesse sfumature della vita di tutti i giorni. Se mi piacerebbe tornare ventenne? Certo che sì, senza se e senza ma, e tuttavia qualcuno, non ricordo bene adesso chi, ci ha detto di fare del nostro meglio con quello che abbiamo a nostra disposizione e laddove l’abbiamo. E, in questo momento, questo ho e questo devo utilizzare, meglio che posso per il rispetto innanzitutto di me stesso.
Viva la chitarra ritmica allora e consentitemi di dire che, conscio di non padroneggiarla assolutamente bene, è un esercizio più difficile del solista. Il solista, signori, è la cicala: sfolgorante, che vive di luce propria, rumoroso e impossibile da evitare, ammaliatore e in grado di stregare le altre persone ancorché di breve vita all’interno del pezzo. La chitarra ritmica è la formica: paziente, in grado di costruire fortezze invisibili e solide, mai sotto i riflettori, sempre discreto ma inesorabile, eterno per definizione.
Yin e Yang, entrambi indispensabili nell’architettura immutabile della musica: uno non potrà mai sostituire l’altro.