"C’era una volta...— Un re! — diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno." Così cominciava il Pinocchio di Collodi e così potrebbe benissimo cominciare anche questa storia.
C'era una volta un pezzo di legno in quel di Merate che aspettava proprio me, chitarrista (si fa per dire) del sud barese, per prendere forma e diventare un bellissimo strumento. Se io in questa storia sono la fata turchina, il Geppetto della situazione è un omone barbuto e dalle mani d'oro noto al popolo di Accordo come Mehari e agli amanti del buon artigianato come Barbanera, al secolo semplicemente Paolo. A dirla tutta la fata turchina di questa storia non sono proprio io: a commissionare lo strumento e a dirigere l’opera c’era un altro ometto del sud barese, mio padre, che ha deciso per i suoi cinquant’anni di regalarsi uno strumento del tutto originale e plasmato sui suoi desideri. Che ruolo resta per me? Diciamo una bella parte da grillo parlante, dato che ho fatto da intermediario e, in più di un’occasione, ci ho messo lo zampino affinché tutto fosse assolutamente perfetto.
La scelta di rivolgersi a un liutaio o a un bravo artigiano non è sempre immediata quando ci si ritrova una bella somma da investire in uno strumento "speciale", però quando si vuole davvero che la chitarra stia addosso come un abito di alta sartoria è sicuramente una scelta azzeccata e l’esperienza può essere esaltante se dall’altra parte c’è un artigiano serio, un grande professionista e un uomo gentile come Paolo. In effetti la scelta del giusto "guitar maker" è un primo passo importante: il panorama italiano è oggi tanto saturo di sedicenti liutai e artigiani più o meno accreditati che può essere davvero difficile districarsi e prendere la decisione giusta. Per fortuna (o purtroppo?) in questa gran massa di chitarrai sono pochi quelli che si distinguono per originalità, personalità e professionalità. In questo caso han giocato a favore della scelta fondamentalmente tre fattori: l’originalità e la distintiva personalità delle , la presenza assidua e la disponibilità sui social network e l’appartenenza accordiana di Paolo che mi ha permesso di seguirlo sin dai primi passi in questa avventura vincente in campo lavorativo.
Dopo i primi contatti telefonici e via social, abbiamo concordato bene o male le caratteristiche base per lo strumento che stavamo per realizzare, il prezzo (da stabilire definitivamente in corso d’opera, risultato alla fine non troppo lontano dal prezzo di una American Standard, tanto per dare un riferimento) e i tempi entro cui lo strumento doveva essere realizzato. Il fatto di non avere scadenze particolarmente stringenti ci ha permesso di lavorare con calma, ragionare ogni scelta e sperimentare anche diverse soluzioni fino a giungere allo stato dell’arte.
Tutto è cominciato da un blocco di acero. Inaspettatamente Paolo mi ha proposto, senza una mia particolare richiesta, un bel pezzo di acero fiammato che prometteva davvero ogni bene sin dal suo stato grezzo. Per prima cosa si è proceduto al disegno del profilo di manico e paletta per poi passare alla posa del truss rod, un modello realizzato a mano nell’officina BlackBeard, non un pezzo di produzione.
La scelta del legno per la tastiera ha visto una breve indecisione tra un pezzo di palissandro particolarmente rossiccio e una bella tavola di Wengé color cioccolato dalle venature ondulate. Su consiglio di Paolo si è optato per il legno africano che, oltre a sposarsi bene con l’idea di strumento su cui stavamo lavorando, ha anche delle caratteristiche interessanti a livello fisico essendo un legno duro, denso e pesante, tanto da poter sostituire, se adeguatamente lavorato per mitigarne la porosità, un ottimo palissandro o una buona tavola di ebano. Un po' per idea di mio padre, un po' guidati dalle venature della tastiera, abbiamo deciso di montare i dot in vera madreperla invece del pearloid inizialmente concordato con un'inusuale forma a onda. Già sperimentata da Paolo in altre varianti, la abbiamo adattata all’idea di mio padre: una finezza estetica. Per i tasti la richiesta era chiara, larghi il più possibile ma bassi, e il buon Paolo ci ha procurato dei fantastici "fretless wonder" di gibsoniana memoria. A Proposito, questa chitarra di gibsoniano ha anche altro, come per esempio la scala di 24.75", per renderla più confortevole da suonare.
I lavori relativi alla realizzazione del manico sono andati avanti per poco meno di un mese in cui io ho potuto seguire la messa in opera grazie alle foto che Paolo gentilmente mi inviava ad ogni step (più o meno). Ecco un’altra cosa che val la pena citare… Ragione vorrebbe che ci si rivolga ad un liutaio anche per seguire e toccar con mano il procedere dei lavori, ecco perché il più delle volte si cerca un artigiano ad una manciata di chilometri dalla nostra zona, ma come si mettono le cose quando la distanza è per niente esigua (più di 900km, nel mio caso)? La soluzione è spesso proprio nei talvolta ingiustamente vituperati social network: grazie a facebook e alla disponibilità di Paolo ho potuto seguire ogni passaggio della costruzione e intervenire in decisioni dirette sul progetto man mano che prendeva forma.
Una volta conclusa la lavorazione del manico, prima di passare ai lavori di fino, si è passati alla realizzazione del corpo. A questo punto l’indecisione era tra un corpo semihollow con buca ad “f” che Paolo aveva già parzialmente pronto in laboratorio e un corpo solido. La scelta è ricaduta sulla seconda tipologia per la necessita di avere le smussature ergonomiche ben accentuate tanto care a mio padre. Come essenza legnosa in questo caso la scelta è ricaduta su un bel monoblocco di Yellow Pine, legno morbido ormai tipico della produzione BlackBeard che può sembrare inusuale ai meno smaliziati ma che ha una sua tradizione in liuteria elettrica: proprio in questa essenza, proveniente dal sud degli Stati Uniti, erano realizzare le prime Broadcaster e Nocaster prodotte da Leo Fender e oggi considerate da molti, nonostante tutti i difetti che le contraddistinguono come prototipi di quel che poi sarebbe stata la Telecaster, l’Holy Grail, il Santo Graal di un certo suono Fender. Alle caratteristiche strutturali spesso rimproverate al Pino il nostro Barbanera ha ovviato con un originale trattamento termico che dona al legno peculiarità che lo rendono più adatto al suo scopo, oltre a conferire allo strumento un look unico: .
Tornando al corpo del nostro Pinocchio a sei corde, abbiamo scelto una sagoma particolare, un misto tra Stratocaster e Telecaster che a tratti riprende le forme dei primissimi Precision Bass di casa Fender. Il contour del body è una via di mezzo tra la morbidezza di una Stratocaster e la durezza della Telecaster, le smussature per pancia e braccio sono invece molto accentuate per rendere la chitarra comodamente indossabile. Lo scasso per l’elettronica è collocato sul retro poiché la chitarra non prevede il tradizionale battipenna Strat, bensì un modello stile Precision ’51, idea derivata dalla Charvel Spectrum che turbò i sogni di mio padre a cavallo tra anni ’80 e ’90. Un’ulteriore anomalia è l’assenza degli scassi per il tremolo legata alla scelta di dotare lo strumento di un ponte fisso.
Proprio quella relativa all’hardware è stata una scelta che ci ha tenuti impegnati per un po’: le meccaniche Kluson Deluxe sono state scelte da Paolo col nostro consenso mentre, per quanto riguarda il ponte, siamo stati indecisi fino all’ultimo minuto. Le possibilità che si prospettavano davanti a noi erano fondamentalmente tre: ponte Telecaster con scasso per Humbucker, ponte Telecaster tre sellette "tagliato" o classico ponte fisso a sei sellette vintage. Il primo a essere scartato è stato l’ultimo e alla fine, dopo una lunga ricerca, si è deciso per il ponte in stile Telecaster con scasso per humbucker; le corde, come da tradizione, son passanti attraverso il corpo e bloccate da una placca in acciaio sul retro dello strumento. Tutte le parti metalliche sono invecchiate accuratamente da Paolo in persona.
L’elettronica è stata ben ragionata ed è quanto di più inusuale si possa trovare su una chitarra tendenzialmente in stile vintage. Al manico è stato destinato , single coil in formato P90 progettato e costruito da Paolo con la particolarità di poter funzionare ad avvolgimento completo o con una parte dell’avvolgimento esclusa per un suono più cool e meno gonfio. I magneti impiegati sono AlNiCo II e l’avvolgimento per la prima parte, quella che definisco cool, in AWG42, per la seconda, che contribuisce al suono hot, in AWG43. Come pickup centrale avevamo deciso per un classico single coil in AlNiCo V in stile Fender sempre realizzato in laboratorio ma, a elettronica cablata, Paolo ha preferito sostituirlo con un AlNiCo III affinché si sposasse meglio nelle posizioni intermedie con gli altri pickup. Per il ponte avevamo bisogno di un humbucker splittabile e dal carattere classico, ma che fosse anche abbastanza hot da spingere la chitarra in territori stoner senza troppi problemi. La classica scelta di un Seymour Duncan JB non mi soddisfaceva per cui, dopo tante ricerche, ho premuto per la scelta di un Tonerider RockSong, anche lui in AlNiCo II, che è fondamentalmente un ottimo PAF con un po’ di rabbia repressa in più.La realizzazione dei pickup in laboratorio segue la tecnica "scatterwound" e ogni pickup è unico e completamente artigianale: persino le basette son realizzare appositamente. L’elettronica, un po' per volontà nostra, un po' per sfruttare al massimo le possibilità offerte dai pickup, è parecchio complessa: in totale le combinazioni ottenibili sono ben 13 e il wiring prevede un push-pull sul volume per la funzione split/cool, un push-pull sul tono per aggiungere il pickup al ponte in tutte le posizioni, un classico selettore a cinque posizioni e un kill-switch, vecchio desiderio di mio padre. Il vano elettronica è completamente rivestito di carta metallica per una schermatura ottimale. La preparazione di tutte le parti e i componenti dello strumento è durata circa quattro mesi e mezzo (abbiamo deciso, come detto, di procedere con calma) e, dopo un primo test di assemblaggio, Paolo ha provveduto a rifinire gli ultimi dettagli in vista della verniciatura e finitura finale. Nella scelta del colore ho dovuto mediare tra i desideri molto "oscuri" di mio padre e i saggi consigli del nostro artigiano affinché il legno desse il meglio di sé. Il manico è stato rifinito una prima volta fino a raggiungere un bellissimo colore da molti definito "Tiger Eye" continuando fino a giungere a un rosso molto carico che sacrificava un po' troppo le venature del legno. Sverniciato il manico con gran pazienza, Paolo ha ripetuto l'operazione raggiungendo una bella tonalità ambrato-bruna tendente al rosso, un colore che mi ricorda quello di un buon tè nero, ricco di sfumature e giochi di luce. Per il corpo abbiamo deciso per prima cosa una spazzolatura profonda che evidenziasse le venature del legno e poi si è proceduto alla bruciatura. A processo finito, Paolo ha concluso una prima finitura come concordato ma, tuttavia, alla messa in atto non mi ha soddisfatto in quanto a contrasti. Per questo ho fatto evidenziare ulteriormente i segni della bruciatura e riverniciare il corpo fino a raggiungere un sunburst scuro, semilucido e tendente a un arancione rossastro al centro, con sfumature violacee quando esposto alla luce diretta del sole. La tastiera è stata solo carteggiata fino a renderla liscia e piacevole al tatto e raggiata a 12". Il capotasto è anche lui realizzato da Paolo, in osso. I pickup son rimasti tutti scoperti tranne l’humbucker al ponte, in finitura nichel, per via dell’effetto bellissimo che si ottiene inserendolo in un ponte stile Telecaster. Le manopole sono anche loro in stile Telecaster, invecchiate come tutto l’hardware. Conclusa la fase finitura, Paolo ha provveduto all’assemblaggio vero e proprio aggiungendo le ultime parti metalliche: battipenna e backplate in alluminio, finemente intarsiati con pattern "skull" per volontà del babbo. In questo caso Barbanera ha dimostrato oltre che un ottimo gusto nella sistemazione del pattern anche una gran pazienza nella sua composizione, infatti l’immagine di partenza che gli avevamo fornito era insufficiente e ha dovuto provvedere di persona ad adattarla alla superficie interessata. La chitarra è stata accessoriata con corde D’Addario XL e lasciata per un po' assestare per poi procedere al settaggio fine. Quest'ultima fase è durata circa tre settimane al seguito delle quali lo strumento, dotato di una bella custodia tweed e di un bel corredo di gadgets e piccoli accessori, è partito verso casa mia, dopo quasi mezzo anno di gestazione tra le cure del suo creatore. È stata una grande esperienza. Consiglio a chiunque di farla perché, oltre allo strumento unico e di qualità superiore, resta davvero tanto a livello umano, si acquisiscono competenze e si approfondisce la conoscenza della propria chitarra. Certo è importante anche trovare la giusta persona dall’altra parte e posso dire di essere stato molto fortunato perché la persona a cui mi son rivolto oltre ad essere un ottimo artigiano, dotato di rigoroso pragmatismo, gusto e tecnica ormai affinati dall’esperienza e, soprattutto, grandissima professionalità, si è rivelato anche una brava persona, gentile e disponibile, e un buon amico. Sullo strumento aggiungo una sola cosa: ha un anima, si sente e si vede chiaramente che è il frutto delle cure e della passione di un uomo che ama davvero quel che fa. La conferma riguardo a quest’ultima considerazione l’ho avuta quando ho comunicato a Paolo la stesura di questo articolo chiedendogli il permesso di pubblicare alcune foto del lavoro svolto nel suo laboratorio. Lui, oltre che acconsentire, mi ha anche dato la bella soddisfazione di leggere una piccola riflessione sul suo lavoro, e sull’esperienza di questa realizzazione in particolare. Ve la allego integralmente, senza tagliare nulla, perché mi ha fatto piacere leggerla e non ha fatto che confermare la passione, l’umiltà, la competenza e la cura che sono dietro il suo lavoro: Non amo definirmi "liutaio", anche se per definizione la liuteria è l'arte della progettazione, della costruzione e del restauro di strumenti a corda ad arco (quali violini, violoncelli, viole, contrabbassi, ecc.) e a pizzico (chitarre, bassi, mandolini, ecc.)... Quindi in termini generici, visto che costruisco chitarre, lo dovrei essere. Ma mi è sempre sembrata una definizione un po' forzata, soprattutto per me che costruisco solo strumenti elettrici. È un po' come se un pizzaiolo si definisse chef... Facciamo che sono uno che costruisce chitarre... e basta. Io le faccio una ad una... posso farne una ventina l'anno, con i miei mezzi e le mie metodologie, e mi piace farle così. Non amo costruire su commissione, spesso le idee nella mente di chi desidera e di chi realizza si sovrappongono solo per una piccola parte e il risultato finale non soddisfa pienamente nessuno dei due. A volte però si trovano persone con le quali ti trovi subito in sintonia e capisci che c'è reciproco rispetto e propensione al dialogo e al confronto. Questo è stato il caso di Alessandro. Sin dall'inizio c'è stata una completa apertura e un confronto su tutto, con l'obiettivo di ottenere uno strumento che fosse al tempo stesso corrispondente alle sue richieste ma anche che ricalcasse appieno la mia filosofia costruttiva. Il lavoro è stato lungo e svolto senza alcuna fretta, tanti scambi di opinioni e tutte le variabili sono state soppesate. Io ho ricevuto richieste che ho valutato e ho fatto proposte che sono state valutate... Il tutto ha portato al risultato che tutti potete vedere. Può essere amato o odiato, la cosa più importante è che piaccia a chi l'ha desiderata e, perché no, anche a chi l'ha costruita. |