di Gianni Rojatti [user #17404] - pubblicato il 29 febbraio 2016 ore 15:00
Sembra che per avere un gran suono sia necessario rispettare dei dogmi. Su tutti, quello delle corde grosse. Eppure Billy Gibbons e Steve Vai usano corde sottilissime e l’action a zero. Fa così anche Steve Lukather ma con l’amplificatore a volumi tanto alti da far esplodere i monitor dello studio. Ce lo racconta Fabrizio Grossi, produttore che ha lavorato in studio con loro, e ci fa venire il dubbio che tra i segreti per un grande suono, sottovalutiamo il più importante: suonare bene noi.
Fa male ma è giusto dirlo. Quello della strumentazione, del set up perfetto, dell’action maschia e delle corde grosse è un alibi dietro al quale, tante volte, giustifichiamo le carenze del nostro playing. Il nostro suono solista è una zanzara, il crunch tisico e se li paragoniamo a quelli di un disco dei Toto o degli ZZ Top ci viene da mettere le mani nei capelli. Però non riusciamo a capire e ammettere dove stia il problema che, invece, è tutto nelle nostre mani e nelle nostre orecchie.
E sì che la soluzione sarebbe facile: bisognerebbe studiare ma soprattutto suonare, suonare e suonare cento volte di più. Il lead è una zanzara perché la nostra plettrata è balbettante; il clean è un paciugo perché diteggiamo note e accordi in maniera incerta, con l’imbarazzo e la preoccupazione di doverci combinare qualcosa di grosso ma senza essersi frequentati abbastanza da avere la necessaria confidenza. Ma siccome studiare è fatica e tante volte parlare di musica è più divertente – e soprattutto più facile – che suonare, allora meglio dare la colpa e quindi rinnovare la strumentazione che non è faraonica e da boutique come, di sicuro, sarà quelle dei nostri idoli.
Inoltre, piuttosto che provare per ore bending, tocco e vibrato e poi registrarsi, ascoltarsi e migliorare, è meglio correre a comprare corde grosse come cavi dell’ascensore - come quelle che usano i professionisti - e andare dal liutaio più trend del momento a farsi rifare il set up. Con quelle funi, sarà un lampo guadagnarsi una tendinite e avere finalmente la buona scusa per non toccare la chitarra per settimane e poter passare le ore sui forum a pontificare sul suono di chitarra perfetto.
Per questo è una bella doccia fredda quando un musicista come Fabrizio Grossi, bassista e produttore trapiantato in America che ha lavorato in studio con tutti, racconta che Billy Gibbons ha tutto il suono nelle mani, tanto che lo stesso sound lo ottiene con qualunque ampli usi e persino (questa è grossa) usando corde sottili e action inesistente; che amarezza scoprire che il segreto delle tessiture ritmiche aliene di Steve Vai non è un chorus/flanger progettato dalla Nasa (sennò in due giorni ordinandolo on line era mio, altroché...) ma una conoscenza della divisione ritmica così infallibile da cogliere fino all’ultimo sedicesimo, tutto quello che sta accadendo musicalmente intorno a lui. Persino l’amplificatore di Steve Lukather non è così diverso dal 100 watt che abbiamo anche noi. Solo che lui l’ha comperato per fargli fare il 100 watt e non per suonarlo a mezza tacca di volume in stanzetta o in un pub minuscolo. E lo spreme e fa suonare sul serio, con ovvi benefici di sound.
Ecco l'intervista nella quale Fabrizio Grossi ci parla di questi e tanti altri chitarristi con i quali ha lavorato e di cui gli abbiamo chiesto di raccontarci aneddoti, abitudini e strumentazione.
E’ uscito un paio di giorni fa “West of flushing, east of frisco” album di debutto dei Supersonic Blues Machine trio capitanato da Fabrizio Grossi, il chitarrista cantante Lance Lopez e il batterista Kenny Aronoff. Di questo disco che ospita una serie di chitarristi stellari come Billy F. Gibbons, Walter Trout, Warren Haynes, Robben Ford, Eric Gales and Chris Duarte abbiamo parlato in questa recente intervista.