Come accade spesso, arrivano un po' di Gibson da fotografare e caricare on line. Ne apro quattro, cinque... apro l'ennesima custodia e resto senza parole: quella Traditional mi aveva letteralmente rapito! Il profumo che veniva dalla custodia, quella colorazione così dolce, tenue, ambrata... come potevo lasciarla lì? Metto due accordi, da spenta, richiudo la custodia, la metto in macchina e la porto via con me.
Ora, a distanza di quasi tre anni, posso condividere le mie impressioni su questo strumento, che ormai conosco abbastanza a fondo essendo il mio strumento principale.
Dopo aver "assaggiato" le forme Les Paul a fine anni '90 con la mia prima Epiphone, circa un decennio dopo riesco a prendere la mia prima vera Gibson: una Les Paul Studio Faded Worn Cherry, uno strumento spartano e molto essenziale (lo conoscerete sicuramente). Mi ci trovavo piuttosto bene, e le cicatrici di mille prove e diversi live l’avevano ormai resa "mia": naturalmente sapevo che quello era, necessariamente, il primo passo nel mondo Gibson, e che prima o poi avrei dovuto aggiornarla.
Scartate a priori la Studio (dissimile dalla mia in sostanza, all’epoca, solo per le finiture e la custodia), le varie serie intermedie che ogni tanto Gibson propone sotto i 2mila euro (non avevano tanto senso), la Standard, che non mi è mai piaciuta (se è Standard perché dovete trasformarla nel laboratorio di sperimentazioni?!), e anche la Custom per una questione soprattutto di prezzo (e di richlite), sapevo che prima o poi avrei preso una Traditional.
Il perché è scritto nel nome, nelle finiture, nella scelta dei pickup, nel profilo del manico, perché è la chitarra più vicina a quella resa immortale da Jimmy Page. Almeno, quella che posso permettermi: la R8 resta una chimera.
Nel 2013 (nell’ambito dei festeggiamenti per Lester Polfus) la Traditional fu ridisegnata per avvicinarla ancora di più a quello che era lo strumento delle origini: quindi corpo in mogano massello senza camere tonali o buchi di alleggerimento, top in acero, elettronica tradizionalissima, meccaniche vintage, tastiera in palissandro e manico con una sezione molto generosa (una mazza da baseball). La scelta dei pickup, una coppia di '57, la rende un pelo più moderna e ancor più versatile. Sono tutti elementi che hanno concorso a farmela scegliere senza pensarci un attimo.
L'esemplare in mio possesso è in colorazione Caramel burst, una livrea che non avevo mai e non ho più rivisto su alcuna Gibson: è davvero difficile rendere giustizia al colore attraverso una foto... per comodità potremmo definirlo molto vicino al caramello.
Il top in acero è fiammato ma in modo molto garbato e gentile: non essendo un amante del barocco, dell’eccesso e della ridondanza di fiammature, aceri occhiolinati, spalted o altro, è davvero una benedizione. Il corpo in mogano è lasciato in colorazione natural, cosa che mi piace tantissimo e che mi lascia apprezzare le belle venature del legno.
Quali sono dunque le sensazioni che trasmette la chitarra?
Il peso, innanzitutto: la "chiattona" si attesta intorno ai cinque chili (forse s’è leggermente asciugata in questi tre anni), e c’è da dire che si sentono tutti sulle spalle, ma è un sacrificio che si fa volentieri perché mai come in questo caso il peso le conferisce una sostanza e un suono che raramente ho ritrovato in altri strumenti del genere.
Da spenta ha un volume importante: si sente tranquillamente da una stanza all’altra e non è esattamente lo strumento che potete suonare di notte pensando di non dare fastidio a chi cerca di riposare. La chitarra vibra tutta, dal ponte alla paletta, e la senti in pancia.
Il manico è importante, grosso, riempie il palmo della mano e per me, che ho la mano abbastanza piccola, è assolutamente perfetto: non stanca mai, non risulta difficile da gestire, è molto scorrevole (la verniciatura è fatta davvero a regola d’arte) anche nei peggiori momenti di calura (e quaggiù, credetemi, fa davvero caldo). La tastiera è assolutamente priva di imperfezioni, i tasti ben posati e rifilati, il palissandro è bello compatto e "morbido" (ogni volta che cambio le corde provvedo a dare una bella sgrassata e nutrita con olio a base di limone). Le meccaniche fanno piuttosto bene il loro lavoro: a parte i ben noti problemi con il Sol (neanche così eccessivi), ho notato un miglioramento della tenuta da quando, dopo qualche mese, ho provveduto a sostituire il Tune-o-matic con un ponte roller. Sia chiaro, nulla di esoterico, ma insieme a un'incordatura fatta bene mi sembra abbia contribuito a migliorare per l'appunto la tenuta dell’accordatura, l'intonazione più precisa dello strumento e conferito un maggior sustain, oltre ad aver reso l'angolo fra il ponte e il tailpiece un po' più morbido.
Uno strumento costoso è tale anche perché risponde bene alle regolazioni che si cercano di apportare: il truss rod funziona bene e mi ha permesso una regolazione dell'action davvero confortevole e come piace a me.
Le finiture, nel complesso, sono quelle che ci si aspetterebbero da uno strumento di circa 2mila euro: il binding è messo bene sia sul corpo sia sulla tastiera, la verniciatura è davvero stesa bene in ogni punto e non vedo difetti.
Attaccata all'ampli, la mia Traditional è qualcosa di semplicemente incredibile. Tutto il peso, l’assenza di buchi vari, camere tonali o vasche (come nella tremenda Standard di qualche tempo fa) restituiscono ancor di più le sensazioni che suscita lo strumento unplugged: sustain pressoché infinito, suono enorme, pienezza e pulizia estrema. L’elettronica è affidata, come dicevo più su, a una coppia di pickup ’57 classic, che per l’occasione furono ridisegnati (a quanto pare) sul modello dei PAF dei tardi anni ’50. I potenziometri sono da 300, mentre due condensatori Orange drop completano il quadro, che è assolutamente tradizionale: niente scheda, niente plug in. Avendone la possibilità, feci costruire da un amico una plastica trasparente del vano elettronica, così da poterci guardare dentro ogni volta che ne avessi voglia. È bello vedere il cuore del tuo strumento!
Dal momento che io suono prevalentemente in distorto, anche piuttosto estremo, è in questo ambito che questo strumento restituisce le migliori sensazioni: la chitarra è aggressiva, micidiale, affilata come un rasoio quando suona il '57 al ponte, pesante come un pachiderma quando accendo quello al manico, perfetto per muoversi in territori stoner.
Non ho molto altro da aggiungere, è la Les Paul perfetta, definitiva e che ricomprerei anche ora: se avete modo di trovarne una, non pensateci due minuti.
La prima sera che l’ho portata in sala ne ho ammaccato il binding nella zona vicino l’attacco della tracolla. Non ho dormito per tre notti ma adesso, ogni volta che sfioro quella botta, la sento sempre più mia.