"Molti di voi avranno familiarità con il fantastico design di John Backlund" recita la riga d'apertura dell'ultima newsletter inviatami da Eastwood Guitars. In tutta onestà no, non avevo idea del fantastico design di cui si parlava, ma dopo una rapida ricerca ho scovato qualcosa che mi ha fatto davvero perdere la testa.
Da qualche tempo sono iscritto alla newsletter del custom shop Eastwood, il servizio con cui l'azienda finanzia la produzione di piccole serie limitate ispirate a rarità e assurdità d'altri tempi con la tecnica del crowd funding. Non è che possa permettermi una Eastwood del custom shop (anche se i prezzi sono molto umani, a ben vedere), ma mi piace scoprire chitarre e bassi sempre più strani, e di tanto in tanto trovare qualcosa di davvero affascinante che in Italia, probabilmente, non abbiamo mai visto né avremmo visto mai.
Uno dei progetti attualmente in fase di completamento in casa Eastwood è la copia di una singolare J Backlund Design modello 200. Diversamente dalle altre chitarre in lista, non si rifà a un pezzo d'epoca meno conosciuto, ai cosiddetti "b side del vintage", bensì a una chitarra di recente produzione ma che, vuoi per i prezzi, vuoi per la natura artigianale, non è mai uscita dai confini degli USA ed è tuttora poco diffusa.
Si tratta di una specie di Telecaster con un body pesantemente sagomato, arricchito di piastre in metallo e con particolari lasciati in legno nudo a fare da binding naturale tutto intorno. Entrambi con cover metalliche, i pickup sono un humbucker al ponte e un single coil inclinato al manico per consentire alla tastiera di raggiungere un 24esimo fret sul mi cantino. La chitarra sembra uscita da un film di fantascienza vecchio di mezzo secolo, ma alcune caratteristiche non tornano, a cominciare dalla presenza di ben 24 tasti per finire con una tastiera ultrapiatta dal radius decisamente moderno di 14 pollici che si contrappone a un manico a C dal feel molto più classico.
Per la cronaca, le chitarre saranno pronte per metà dicembre e saranno vendute al prezzo di 1249 dollari.
Le tastiere "abbondanti" mi piacciono, i contour sul top sono un mio punto debole e la forma Telecaster ammorbidita in questo modo mi fa impazzire, così ho deciso di approfondire.
Dopo un breve giro su Google e YouTube (dove Backlund porta più a video di wrestling che altro), è venuto fuori che John Backlund è un grafico e designer che qualche anno fa ha stretto una collaborazione con Bruce Bennett, il liutaio dietro il marchio Retronix. I disegni fuori di testa di John si sono quindi uniti con l'esperienza di Bruce e hanno dato vita alla .
Tutti i modelli in produzione, pochi a dir la verità, sono accomunati da forme sinuose che rimandano a un punto sospeso nel tempo tra l'epoca delle Cadillac e un futuro mai giunto.
Le curve, i colori e gli inserti in metallo sono tipici di un certo vintage minore, che chi segue i movimenti del catalogo Eastwood conosce molto bene. Le caratteristiche tecniche sono invece al passo coi tempi in una maniera che può spiazzare.
Già i 24 tasti sono un dettaglio che non passa inosservato a un amante del genere, dove una ventina di solito bastano e avanzano. Poi la tastiera piatta riporta a stili costruttivi più che recenti, e anche gli attacchi dei manici ai body, morbidi e attenti alla suonabilità dei registri più alti grazie a un incollaggio praticamente invisibile, fanno pensare a una cura per le prestazioni del musicista tutt'altro che di tipo vintage.
L'elettronica non è da meno, ed è possibile vedere pickup dall'output consistente cablati tra loro in maniera intelligente, con controlli ridotti all'osso e combinazioni di bobine ben studiate. Come accade per lo switch a quattro posizioni con cui splittare e miscelare a piacimento i magneti di questo "razzo" del duo Backlund-Bennett.
A guardarle più da vicino, queste Retronix ricordano tantissimo una certa iconografia legata ai vecchi cartoni animati dei Jetson, conosciuti in Italia come I Pronipoti. Tutto il loro mondo fatto di capsule volanti e palazzi sospesi ruotava intorno a forme ellittiche, colori sgargianti e forme gentilmente puntute che rappresentano la perfetta fusione tra il design degli anni '50 (la serie fu distribuita all'inizio dei '60) e un ipotetico futuro in cui robot e supercomputer funzionano ancora a valvole e sono fatti delle stesse lastre di metallo bombate con cui venivano fatte le automobili nella metà del secolo scorso.
Forse c'è una spiegazione per cui vedere chitarre del genere in giro è ancora così raro, perché i liutai europei insistano nel replicare forme fin troppo conosciute e raramente osano quanto il duo di Retronix. Forse chitarre del genere in realtà piacciono solo a me, ma gli continuano a suggerirmi che oggetti del genere, in realtà, un mercato ce l'hanno. |