L’8 ottobre a Cerea (VE) ho ascoltato tonnellate di blues alla bellissima manifestazione Blues Made in Italy. Mi sono mosso dal profondo sud, lo so, ma la passione verso il genere musicale mi ha spinto ad andarci.
Due parole sulla manifestazione: Blues Made in Italy nasce da una idea di Lorenz Zadro, appassionato e musicista anche lui, che in pochi anni ha portato una rassegna musicale da un bar a un padiglione fiera del comune di Cerea. La manifestazione, totalmente gratuita, vedeva quest’anno più di cinquanta esibizioni live su due palchi, uno acustico e uno elettrico. Le migliori formazioni di Italia da sud a nord, tutte rigorosamente blues. Per approfondimenti consiglio una visita al sito ufficiale.
A colpirmi però è stata l’esibizione di un trio: Matteo Pizzoli’s True Grit.
Lui, Matteo, “indossava” una Telecaster e aveva un set di pedalini minimal, accompagnato da due musicisti eccezionali con cui l’intesa, si notava, era alla grande.
Una perfomance energica, non passata inosservata al pubblico di Blues Made in Italy che li ha accolti, ascoltati e salutati con calore. Ottimi gli assolo di chitarra, si vede cha Matteo Pizzoli ha fatto i compiti, ha mangiato molti lick famosi e li ha resi suoi, elaborandoli e proponendo un suo stile chitarristico.
Insomma: ogni cosa al suo posto.
Hanno suonato (l’ho scoperto dopo) alcuni pezzi presenti nel loro ultimo album.
Così, dopo averli ascoltati live in un contesto davvero bello, ho approfondito la conoscenza e sono entrato in possesso del disco.
Il gruppo nasce nel 2012 con Matteo alla chitarra e voce, Andrea D’Alessio alla batteria e Fabio Dotti al basso (sostituito da Matteo Morbio, presente nella performance di Blues Made in Italy e stabile attualmente nel trio).
Dopo una serie di performance live, nel 2014 il gruppo pubblica un disco con dieci tracce originali scritte da Matteo.
L’album mantiene un legame profondo con il blues e, al contempo, vuole dare spazio al gusto del band leader, che intercetta influenze country, legami con un hard blues tipicamente seventies e atmosfere quasi beatlesiane nella forma canzone.
In ogni pezzo, si possono distinguere una determinata influenza, un'ispirazione a un genere, a un gruppo, a un chitarrista, a un riff, a spiegare che Matteo ha ascoltato di tutto e ha studiato i migliori guitar hero della storia del rock.
I dieci brani si muovono armonicamente su questo stile, a partire dal pezzo di apertura, "Grateful", un rock ‘n’ roll velenoso contro chi ritiene importante sottolineare la propria superiorità esistenziale verso gli altri poveri mortali.
"Tired" mescola riff anni ‘70 con un andamento reggae e "Abels and Cains", con il suo incedere da ballata country, ironizza sul fatto che, se non fosse stato per Caino, suo fratello Abele non sarebbe oggi così celebrato.
"The medicine Show" e "The Headballman" potrebbero, insieme a "Bob & Lucinda", far parte di una polverosa trilogia country-blues tra medici truffaldini, storpi vagabondi e prostitute innamorate, mentre "The Spell" è l’unico strumentale tra funk e chitarre raddoppiate.
"Heavy night" è un vero slow blues, che permette al trio di capitalizzare l’esperienza live, così come "Upside down Boogie", tirato e pesante quanto basta per raccontare un amore che stenta a partire.
Il finale, "Daylight Down", suonato dal solo Matteo Pizzoli, è un delicato ricordo per un’amica che non c’è più e che, come le luce del giorno, sfuma verso la chiusura del disco.
Da ascoltare. |