Le Ibanez RGT sono da sempre sinonimo di eleganza e cattiveria, grazie alla costruzione con un manico in sette pezzi di acero e noce, through body e corpo in frassino. La versione Iron Label può vantare un look ancora più personale. Il nero satinato con venature in rilievo fa coppia con l’ebano usato per la tastiera, con 24 tasti jumbo. L’hardware brunito è anch’esso di ottima qualità. Si parte dalle meccaniche autobloccanti Gotoh fino al ponte fisso Gibraltar, nella versione II, aggiornata e migliorata.
L’elettronica è stata affidata a EMG. In particolare abbiamo una coppia di humbucker attivi 60 al manico e 81 al ponte, controllati da un selettore a tre posizioni con un kill switch, per gli amanti di Randy Rhoads e i tamarri in genere.
Inutile dire che le geometrie della RGIT sono da velocità pura. Tastiera ultra-piatta con radius da 400mm (16’’) e uno spessore che varia dai 19 ai 21mm. I tasti jumbo completano il quadro e rendono l’Ibanez davvero uno strumento performante che non mette limiti nemmeno agli shredder più veloci.
La scelta del ponte fisso la rende uno strumento particolarmente adatto anche alle ritmiche e, soprattutto, alle drop-tuning sempre più utilizzate e che poco si sposano con i ponti flottanti.
Quando ci si approccia a uno strumento dall’aria così estrema, si è subito portati a pensare che il clean, qualora presente, non possa che essere freddo, scarno e tagliente. Niente di più falso. Gli EMG sparati nella Mark V sanno dire la loro anche quando il gain è quasi a zero. Sono, logicamente, affetti da quella leggera compressione che li contraddistingue, ma lo spettro delle frequenze è coperto completamente, senza buchi o vuoti attorno alle medie. Questo ci lascia da subito ben sperare anche per il crunch. Qui la RGIT si fa un po’ più desiderare, perché a causa dell’output generoso si fatica a restare nel range di guadagno comunemente attribuito al crunch. Vuole passare oltre, ma lo sappiamo bene che il concetto è relativo e quindi ci gustiamo la pasta piena e potente, soprattutto sulle basse, che scaturisce dalla 2x12 con coni Vintage 30.
Il sustain è una delle principali armi della Ibanez. Cresce al crescere del guadagno, ovviamente e permette di tenere note lunghe fino al sopraggiungere del feedback senza la minima fatica. Questo è sicuramente merito tanto dell’elettronica quanto della struttura con manico passante attraverso il body.
Da non dimenticare sicuramente anche il contributo del ponte fisso che sembra essere strutturato proprio al meglio per consentire il corretto trasferimento delle vibrazioni delle corde al corpo. Inutile dire che quando ci si sposta nei territori propri del metal, anche più estremo, la Iron Label non teme rivali. Fa la voce grossa è prepotente e, a tratti, sa essere anche ignorante. Può essere utilizzata con facilità quanto per lo shred quanto per delle ritmiche incazzate, in perfetto sincrono con un doppio pedale a 200000bpm.
La RGIT20FE è da considerarsi la gemella cattiva della classica RGT, è nera, è opaca, è potente. Sicuramente non brilla per dinamica, non è la regina del crunch, ma quando c’è da abbattere muri a suon di djent sa esattamente come fare. Viene offerta a un prezzo che si attesta intorno ai 1000 euro. È una chitarra però che offre dotazioni di tutto rispetto, da considerarsi quasi un top di gamma e che comunque non fa rimpiangere certo la spesa.
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