Secondo Juskiewicz, l'annosa (anche su ACCORDO, dove questo tema negli anni ha sempre prodotto thread infiniti) questione sul far provare le chitarre resta sempre al centro. La lettura è un po' superficiale, ma qualche spunto condivisibile non manca: il primo valore aggiunto che il negozio può dare rispetto all'e-commerce è la possibilità di mettere le zampe sugli strumenti. Per un musicista è un aspetto determinante e non passa giorno che ACCORDO non riceva una mail di lettori che dicono la loro sul tema, condividendo esperienze positive e vicissitudini.
“They put all of these guitars on the wall, and they put the best ones out of reach. Because you might steal one? Well, that's one way to look at it, but Apple doesn't look at it that way, and most of their stuff is more expensive than a lot of higher-end guitars. Their products are just out on tables for everyone to pick up and look at, and while they have some theft protection, its not like they have a security force in each store. We just have the whole thing wrong. If you want customers, you have to be nice to them, and give them a place where they are comfortable.”
Diciamola tutta: Juskiewicz fa un esempio che non calza proprio: paragonare le chitarre Gibson ai prodotti Apple significa non voler considerare che nei negozi della mela si espongono prodotti di prezzo anche elevato, ma il cui reale valore fisico è ordini di grandezza inferiore. Le chitarre, invece, costano e tanto. Un MacBook da 2mila dollari ha un costo aziendale di un centinaio di dollari e quelli di esposizione sono forniti gratuitamente, una Gibson dello stesso prezzo può costarne anche più di mille (e sicuramente la Gibson non ne offre una gratis da far provare a ogni rivenditore autorizzato). Questo è un tema complesso e forse i distributori di strumenti dovrebbero considerarlo con attenzione. In campo ciclistico - per dirne una - non è infrequente che le aziende forniscano biciclette da test a prezzi irrisori o addirittura in comodato. Si può fare con le chitarre?
Secondo Henry c'è anche un problema logistico: "I’ve been arguing with retailers for a long time that you have to be a place where [customers] can sit and take in the store, and be a destination that is friendly. If you walk into most music stores, there's nowhere to sit. Give me a break! Most stores aren't comfortable places".
Anche in questo caso, al di là della crudezza e di un po' di superficialità, qualcosa di vero c'è, sempre sulle opportunità per il negozio di mattoni di aggiungere valore in ambiti dove neppure la straordinaria user experience offerta da Amazon è in grado di funzionare. La sensazione tattile e la prova dal vivo sono la base, ma possono essere aggiunte l'accoglienza, la chiacchiera, l'odore degli strumenti, via via fino alla scelta di alcuni nuovi negozi di implementare un piccolo bar in un angolo (che - a margine - porta anche altro fatturato). E' però evidente che la soluzione non può essere quella di mettersi a vendere direttamente, come mr. Gibson paventa, dandosi la zappa sui piedi: “We’ve always been loyal to retail; we still don’t have a site where we sell directly. We probably will in the future, and part of that is in reaction to general trending toward e-commerce".
Ecco. Juskiewicz ha ragione quando afferma "All of the retailers are fearful as can be, they're all afraid of e-commerce, and the brick and mortar guys are just panicking. They're all wondering if there will be a world for brick and mortar stores for much longer". E' vero, siamo di fronte a un cambio epocale dei consumi e la preoccupazione si percepisce. Però all'osservatore attento non sfuggono le opportunità che ogni crisi produce: chi ha voglia e capacità di mettersi in gioco trova sempre spazi di movimento. Se l'e-commerce è il futuro della grande distribuzione (perché devo andare all'Esselunga per comprare le scatolette di tonno e trasportarle se le posso ricevere a casa acquistandole online), non è detto che lo sia (e probabilmente non lo sarà) per tutti quegli ambiti merceologici in cui entra fortemente in gioco l'emozione e la sensorialità.
Da ultimo, un dettaglio non trascurabile: a fronte di una solida reputazione del brand Gibson per se, la popolarità della gestione e delle scelte tecniche degli ultimi anni è ai minimi storici dal 1986. Gli appassionati sono arrivati a coniare la definizione "pre-bad-decision Gibsons" per le chitarre costruite quando Juskiewicz mnetteva meno il naso dei reparti R&D: è chiaro che una presa di consapevolezza della situzazione e una svolta a U potrebbero aiutare tutti. |