Si può parlare di crisi del live quanto si vuole ma, quando la buona musica chiama, il pubblico risponde vigoroso e abbondante. È quanto è accaduto il 27 marzo 2018 al Goodfellas di Napoli, che ha ospitato la quarta di sei tappe a rappresentare il giro di boa per la tranche italiana del tour 2018 di .
Il martedì non è certo una serata di punta per la programmazione della musica dal vivo, ma la qualità messa in campo dal trio del virtuoso di Omaha è stata premiata da un'ottima risposta da parte del pubblico. Complice del successo, senza dubbio, è stata anche l'offerta variegata della programmazione, che ha arricchito l'evento con ben due opening act.
Il momento acustico di Francesco Egollino ha dato il benvenuto ai presenti. La sua Maton strizza l'occhio a Tommy Emmanuel e lo stile del fingerpicking sfoggiato con disinvoltura e padronanza conferma un chiaro tributo al chitarrista australiano.
Segue un assaggio degli ERT15, trio capitanato da Andrea Palazzo con Corrado Calignano al basso e Davide Ferrante alla batteria. La loro fusion, fresca e ben strutturata sotto la conduzione della chitarra di Palazzo - sempre una garanzia - è stata un degno aperitivo per ciò che si appresta a conquistare il palco. Il piatto forte arriva dopo un rapido cambio palco, quando Michael Lee Firkins, Barend Courbois al basso e Chris Siebken alla batteria vibrano le prime note nell'aria.
Michael è in gran forma, la sezione ritmica sostiene solida e compatta i suoi fraseggi sempre dal forte sapore bluesy ma conditi da una padronanza tecnica che raccoglie a piene mani dalla tradizione del rock anni '80 e '90. Il suo suono è semplicemente strabiliante. Pieno, armonico ma sempre a fuoco, forma un tutt'uno con i compagni di palco per equilibrio nel mix quanto per groove e intesa.
Il concerto è anche l'occasione per presentare Knock On Wood, EP prodotto e distribuito in esclusiva per il tour europeo. Firkins ce ne ha parlato in una breve chiacchierata pre-concerto, presto su queste pagine. Non vi roviniamo la sorpresa e non entriamo nei dettagli della scaletta, composta da brani originali e illustri reinterpretazioni. In questa sede ci limitiamo a condividere una sbirciata alla strumentazione responsabile dell'impressionante tono sfoggiato dal chitarrista nella data campana e che riproporrà stasera 28 marzo a Martirano Lombardo prima di concludere il suo giro d'Italia con il concerto del 31 marzo a Isola Del Liri.
Il rig di Michael Lee Firkins è a dir poco minimale. Tra le sue mani si sono date il cambio due chitarre: una Fender Stratocaster Road Worn con un humbucker Seymour Duncan al ponte per le parti che richiedevano un lavoro di leva e una delle sue inconfondibili Telecaster con risuonatore per i brani in accordature aperte e con il bottleneck in ottone. Si tratta di modelli preparati appositamente per lui dal Fender Custom Shop a partire da delle Telecaster messicane di serie. Nulla di trascendentale, ma ogni nota ne viene spremuta fuori con un gusto e una consistenza unici.
Ai suoi piedi, Michael preferisce una pedaliera essenziale. Come ci spiegherà nell'intervista, il suo concetto di suono è "un pedale per un filo di gain, uno per un crunch e uno per gli assolo". Non ci sono modulazioni (quando un brano richiederà un effetto simile a un UniVibe, ci si renderà conto che è in realtà lui a produrlo con un intenso e preciso shake sul Tremolo a sei viti della Strat) ma solo un delay Boss DD3 tra send e return a conferire un pizzico di spessore.
Un TC Electronic Polytune 2 trova spazio in un angolino, ma non è collegato: forse per lasciare il tono di base il più puro possibile, d'altra parte Michael sembra operare tutti gli aggiustamenti del caso a orecchio.
Primo in catena è un EHX Soul Food: i toni a metà, il gain intorno ai 3/4. Segue un DOD Overdrive Preamp 250 lasciato praticamente in flat per le saturazioni più consistenti. L'Ibanez Tube Screamer TS808HW a fine catena è tenuto col gain abbastanza basso, mentre il volume e i toni sono un po' oltre la metà. Viene usato da boost, appena sporco, per colorare qualsiasi suono e uscire maggiormente negli assolo.
Tutto entra in un amplificatore Koch, testata e cassa con due coni custom che Michael tiene rivolti verso di sé sul palco come monitor personale e per sfruttarne il feedback.
Tutto della strumentazione di Michael lascia pensare a un rig sì di qualità, ma semplice, basilare. Con l'amplificatore, ci ha confidato, sta ancora prendendoci la mano. Eppure il suono che è capace di tirare fuori dalle sue oneste messicane ha lasciato a bocca aperta i presenti. Mai come in casi del genere torna in mente la vecchia storia per cui il suono, quello vero, viene fuori solo quando si ha una vera e completa padronanza del proprio strumento, qualunque esso sia.
Torneremo presto a parlare di suono e di musica con Michael Lee Firkins. Con questo anticipo speriamo di aver stuzzicato la vostra curiosità e vi diamo appuntamento a stasera per la prossima data del tour. Sulla e sul potete trovare alcuni scatti della serata di Napoli, con Storie a documentare lo show minuto per minuto. |