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Come suona la mia stanza?
Come suona la mia stanza?
di [user #17844] - pubblicato il

L’ambiente può alterare la percezione di uno strumento: abbiamo portato in giro una chitarra acustica per scoprire come suona nei luoghi più inaspettati.
Grazie all’avanzamento tecnologico, il trattamento degli ambienti è sempre meno una preoccupazione per chi si diletta con registrazioni e home studio. Multieffetto per registrare le chitarre elettriche in diretta nel computer e sistemi di pickup dalla qualità impressionante per incidere un’esibizione acustica senza ricorrere a microfoni esterni consentono di avere suoni sempre più puri, ma non possono offrire un’immagine completa del suono di quegli strumenti nella “vita reale”, quando li si suonerà nella propria camera, in sala prove, in strada o su un palco. Lì subentrano tante variabili che possono portare il chitarrista a esclamare “hey, ma il mio suono non era questo!”.

Come suona la mia stanza?

C’è stato un tempo (e c’è ancora) in cui l’acustica di una sala era ritenuta fondamentale per la resa di una registrazione musicale. Alcuni studi di registrazione sono divenuti mitici proprio per il modo in cui le loro camere “suonano” e non prendiamoci in giro: tutti almeno una volta nella vita abbiamo provato a cantare o a portare la chitarra acustica al gabinetto per scoprire se quella piccola stanza lastricata di maioliche suona davvero come alcune leggende della musica moderna vogliono farci credere.

L’influenza di un ambiente non ha a che fare solo con eco e riverberi che possono verificarsi nell’aria, ma incide direttamente sulla percezione che si ha dello strumento usato: pareti che creano risonanze su particolari frequenze o superfici che ne assorbono altre in maniera più evidente sono un vero e proprio equalizzatore e sono esattamente il motivo per cui gli studi di registrazione dedicano molta attenzione al trattamento della sala di ripresa quanto della regia, dove sono posizionati i monitor per l’ascolto.

Abbiamo voluto sperimentare sul campo, forse in maniera un po’ atipica ed empirica, l’influsso di diversi ambienti sul suono e sulla resa di una chitarra acustica. Ne abbiamo scelto una di ottima fattura - una Taylor K24ce già protagonista di una recensione accurata su Accordo - e le abbiamo piazzato davanti un registratore Zoom H4n. I due microfoni in configurazione XY dello Zoom sono posti esattamente a 3m di distanza dalla chitarra, cercando di catturare il suono così come lo ascolterebbe una persona presente all’ipotetica esibizione, con una porzione importante dell’ambiente circostante coinvolta nel risultato finale.
L’ascolto in cuffia o con un buon paio di casse è consigliabile.



Siamo curiosi di leggere le vostre impressioni su quanto registrato e di conoscere gli esiti dei vostri stessi esperimenti. Nel frattempo, condividiamo le nostre considerazioni su quanto ottenuto.

Nella ripresa casalinga, la Taylor ci risulta a fuoco, con medi in evidenza che conferiscono alle note un attacco deciso e definito. Il riverbero è minimo e cortissimo, improntato sui bassi a sporcare un pizzico il risultato in maniera non sempre piacevole: è il classico effetto di una stanza dalle dimensioni medio-piccole ma con almeno una parete quasi del tutto vuota, pronta a rimbombare. Questa l’ho misurata: c’è una fastidiosa risonanza intorno ai 200Hz che ho imparato a considerare quando processo dell’audio dai piccoli monitor che vedete sul fondo.

L’attenzione si sposta sui medio-alti quando le frequenze vengono riflesse con maggior vigore dalle mattonelle del bagno: non poteva mancare all’appello. L’ambiente è ancora piuttosto dry e, dopo qualche test, si può capire perché quel suono piaccia in particolare ai cantanti, le cui frequenze vocali sembrano quasi sostenute dalle piccole risonanze del posto.

Risulta decisamente più dolce il tono in cantina, con medio-bassi appena impastati da un riverbero caldo ma non troppo e acuti non particolarmente valorizzati a causa delle pareti porose, non ideali per certe rifrazioni.

I bassi finiscono quasi per perdersi quando ci si trasferisce all’aperto, perché non ci sono superfici riflettenti se non mura lontane dalle quali è quasi possibile udire una leggerissima eco a qualche millisecondo di distanza. È qui che una dreadnought - con i suoi bassi talvolta fin troppo prepotenti per un palco o una sala d’incisione - trova la sua vera ragione d’essere.

La situazione cambia diametralmente quando ci si trova all’interno di strutture chiuse (o quasi) ma dalla cubatura abbondante, come un tunnel. Qui il suono appare quasi nasale, con risonanze medie e medio-basse ad arricchire le code. Il riverbero non è eccezionalmente lungo, ma il luogo “bagna molto” il suono risultante.

La resa più interessante è forse fornita dall’ambiente interno del palazzo, davanti l’ascensore. Il riverbero è presente e complesso, il marmo sulle pareti riflette una gran quantità di frequenze conservando anche le più acute, mentre la tromba delle scale diffonde una coda uniforme e con qualche componente di eco a sostenere in particolare l’esecuzione delle parti melodiche e suonate piano. Non siamo ai livelli estremi dei riverberi virtuali costruiti sui modelli cathedral, ma un chitarrista acustico potrebbe apprezzare particolarmente la vaga compressione naturale che vi si avverte.

Quando si prova la prossima chitarra, si guarda una video-recensione o si assiste a una piccola esibizione in ambienti non controllati, tenere a mente appunti di questo genere - o aver svolto esperimenti simili con le proprie mani e orecchie - potrebbe rappresentare un tassello utile alla comprensione di quel fenomeno complesso che è il suono di uno strumento musicale.
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Link utili
Ascolta la Taylor K24ce su Accordo
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