Chitarrista, arrangiatore, produttore e didatta di punta della scena italiana, prosegue sulla pagine di Accordo il suo ciclo di pillole didattiche.
"L’arte di trasformare i propri limiti in punti di forza è una capacità che mi ha aiutato a sviluppare la mia carriera. Come chitarrista e prima ancora come produttore artistico ho avuto la possibilità di lavorare a fianco a tanti artisti. Il produttore diventa una sorta di consigliere dell’artista, è nella vicinanza e condivisione di queste collaborazioni ho visto che anche per molti di loro, la facoltà di trasformare dei limiti in virtù è stata decisiva.
Prima di addentrarsi in queste considerazioni però, è bene precisare che lavorare sui propri limiti è fondamentale: sedersi sui propri limiti è deleterio. Chi ambisce a diventare un bravo professionista è tenuto a lavorare per migliorare in maniera costante. Il meccanismo di sfida verso ciò che non siamo in grado di affrontare deve sempre restare acceso: se non si è capaci di fare una cosa oggi perché rinunciare a saperla fare anche domani?
Assodato questo, però, è bene essere franchi con sé stessi: bisogna cercare di migliorare in ogni ambito ma è altrettanto doveroso essere pronti a cogliere degli aspetti del proprio playing e musicalità verso i quali si avverte un vero e proprio distacco.
Perché, intestardirsi su qualcosa che non c’è affine impedisce di affinare determinate specialità.
Nel mio caso, per esempio, facevo i conti con il fatto di essere un musicista poco incline a memorizzare e riprodurre con cura doviziosa dei dettagli una parte, un suono. Ero francamente pigro verso questo tipo di lavoro, mi sentivo più stuzzicato dall’aspetto creativo. Mi spiego: se per esempio, lavoro a un suono che deve avvicinarsi a quello di The Edge, non mi stimola tanto il fatto di clonarlo ma, partendo da quel DNA sonoro, vedere verso quali scenari sonori posso spostarmi grazie al mio apporto creativo. Quindi, se devo girare un pomello, lo giro non in direzione della ricerca precisa dell’originale ma verso la creazione di qualcosa di inedito, di mio.
Questa mia indole, non avrebbe giocato a mio favore se avessi voluto - per esempio - mettermi in gioco come chitarrista da cover band; viceversa decidendo di orientare il mio lavoro verso la produzione e lo studio di registrazione ho trovato un contesto che offre spazi maggiori alla creatività, a me più affini.
La tecnica chitarrista offre esempi lampanti per ragionare su questo aspetto: ci sono chitarristi per i quali l’aspetto meccanico, meramente esecutivo non è qualcosa di congeniale. Ma sono musicisti che possono sviluppare, in alternativa, un tocco unico, un suono devastante, un fraseggio distinguibile.
Viceversa, ci sono musicisti dotatissimi dal punto di vista tecnico ma non per forza con il bernoccolo creativo. E possono diventare degli esecutori sublimi, strumentisti sopraffini.
Immaginatevi che ne sarebbe stato di Robben Ford se anziché sviluppare quel suo fraseggio e suono straordinario si fosse intestardito per anni a studiare il tapping che magari gli veniva male perché non lo sentiva vicino alle sue corde?"
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