Nell'articolo "" e nel seguito "" abbiamo fatto un excursus sulla storia della chitarra distorta e del fuzz, dalle origini nei primi anni '50 al 1968.
Questa è la terza e ultima parte del nostro viaggio nel tempo attraverso l'evoluzione del "fuzz-rock" da un punto di vista tecnico, storico e culturale.
In questa ultima tranche, anch’essa corredata da filmato, riesaminiamo il periodo compreso tra i tardi anni '60 e la fine dell'epoca dei fuzz vintage, a metà degli anni '70: gli anni in cui i pantaloni "a zampa di elefante" andavano di gran moda.
Durante gran parte degli anni ’60, i transistor al germanio erano la tipologia di uso più comune nell'industria elettronica. Questi componenti sono estremamente soggetti a sbalzi di temperatura: sembra addirittura che Hendrix, durante i sound check, provasse con cura diversi pedali Fuzz Face per trovare quale in quel momento rispondesse meglio a quelle specifiche condizioni ambientali.
È per questo comportamento “lunatico” che ho soprannominato i componenti al germanio "transistor umorali".
Verso la fine degli anni '60, l'industria stava passando dai transistor al germanio ai più compatti e affidabili transistor al silicio, dalla qualità più omogenea e dalle prestazioni più costanti.
La maggior parte dei pedali fuzz sul mercato subì questo processo di trasformazione.
Alcuni esempi sono il Fuzz Face, il Mosrite Fuzzrite e il Maestro Fuzz Tone, che fu prodotto in una nuova versione siglata FZ-1B con due transistor al silicio.
I fuzz al silicio hanno un guadagno leggermente maggiore e più frequenze alte.
Dal punto di vista sonoro, molti musicisti tendono a preferire il germanio anche se è fuori discussione che esistano molti fuzz al silicio dal suono eccellente.
Proprio in questo periodo di transizione, una nuova generazione di pedali fuzz arrivò dall'est.
Il talentuoso ingegnere giapponese Fumio Mieda della Shin-ei progettò il versatile e malleabile FY-6 e il più abrasivo e acido FY-2, un pedale caustico quanto affascinante.
Lo FY-6, a sei transistor, fu originariamente prodotto dal marchio di breve vita Honey e successivamente venne commercializzato col marchio americano Univox sotto il celebre nome di Super-Fuzz. Seguendo l'Octavia di Roger Mayer, il Super-Fuzz combina la distorsione fuzz con armoniche di differenti ottave.
Shin-ei aveva una confusa politica commerciale e i suoi pedali erano reperibili sul mercato con tantissimi marchi diversi: Companion, Apollo, Shaftsbury, Mica, Hohner, Jax, Kimbara, Kent, Crown, May Fair, Teisco e Royal sono solo alcuni esempi di pedali che condividevano lo stesso identico circuito Shin-ei.
Anche Fender si lanciò nel mercato del fuzz, producendo l'apprezzato Blender, piuttosto simile all'Univox Super-Fuzz e, di conseguenza, all'Octavia di Roger Mayer.
Ma nel mercato del fuzz stava per entrare un altro pedale destinato a rivestire un ruolo da protagonista negli anni a venire.
Mosrite produceva il suo Fuzzrite anche per conto di Guild, in versione rinominata “Foxey Lady Fuzz”: chiaro richiamo commerciale al fenomeno Hendrix.
Quando Mosrite si ritirò dal mercato, Guild commissionò una nuova versione del Foxey Lady al giovane e promettente tecnico Mike Matthews. Matthews sviluppò gradatamente un riuscito fuzz di nuova concezione, che finì col diventare il celebre “Big-Muff Pi”, prodotto con suo marchio proprietario "Electro-Harmonix".
Il pedale Big Muff viene considerato - sotto l'aspetto sonoro - l'anello di congiunzione tra il fuzz anni '60 e la più moderna distorsione da "op-amp" dei successivi decenni: è l'inizio di un nuovo capitolo nella storia del fuzz.
Dal punto di vista musicale, gli anni “dei pantaloni a zampa di elefante” sono un fermento di idee innovative e, conseguentemente, di musica fresca e vitale. I pedali prodotti in questo periodo giocano un ruolo di primo piano, ispirando una gloriosa stagione di fuzz-rock.
Addentrandosi negli anni '70, molti musicisti cominciarono gradatamente a considerare i pedali fuzz tecnicamente obsoleti e stilisticamente superati: modi più pratici e flessibili di distorcere la chitarra si stavano facendo strada.
Gli overdrive a op-amp arrivarono sul mercato, emulando la distorsione valvolare con convincente realismo. Gli amplificatori cominciarono a includere un controllo di master volume o sofisticati sistemi multi-canale, permettendo un elevato grado di distorsione valvolare per la solistica a volumi più contenuti e gestibili. Tuttavia, nonostante la tendenza generale, il fuzz non abbandonò mai completamente la scena.
Nel filmato ripercorriamo anche alcuni momenti salienti dell’epoca di riflusso in cui i pedali fuzz sembravano destinati a scivolare nel dimenticatoio. E invece, sorprendentemente, a cominciare dagli anni '90, il fuzz-tone conosce addirittura una seconda giovinezza che dura ancora oggi con buona pace di alcuni tra i più celebri chitarristi della scena internazionale.
Dunque ha ancora senso parlare di fuzz in epoca di digital profiling amplifier ed effects processor? Ha ancora senso avere interesse per il suono spernacchiante e rozzo di questi vecchi e semplici circuiti con due o tre transistor?
Abbiamo provato a rispondere a queste domande in un filmato che ripercorre la storia del fuzz in questa epoca irripetibile.
Il filmato è in lingua inglese con accurati sottotitoli italiani attivabili dalle opzioni del player.
|