La chitarra elettrica è un firmamento sconfinato di sfumature e sonorità diverse, complementari, che è bello pensare di avere sempre a disposizione per scegliere quella più adatta a ogni contesto. In studio di registrazione quei colori rappresentano armi potenti per connotare i propri lavori, ma quando si va sul palco, con strumentazione limitata e tempi risicati, conoscere bene ciò che si ha in rastrelliera è indispensabile per una resa all’altezza delle aspettative.
Lo scenario che abbiamo voluto ricreare in questo esperimento di tone shaping è quello che molti chitarristi si trovano a fronteggiare quando decidono di portare sul palco chitarre diverse, per averne una di riserva come muletto o per imbracciare quella più adatta ai singoli brani in scaletta.
Nella prima eventualità è plausibile che si voglia poter contare su un suono il più uniforme possibile, anche quando i due strumenti non sono esattamente simili tra loro. Nel secondo caso, invece, si tende a valorizzare le differenze timbriche, ma ci si trova contemporaneamente ad avere a che fare con alcune conseguenze impreviste.
Nel video, imbracciamo le due chitarre Soundsation Jazz Root che e proviamo a confrontarne il suono, modificandolo fino a trovare la condizione ideale che permetterebbe loro di convivere in un unico rig senza troppi scossoni.
Le due chitarre
Protagoniste dell’esperimento sono due semiacustiche a cassa sottile in stile 335. Una è dotata di pickup humbucker e cassa in acero, l’altra di single coil in stile P90 e corpo in sapele. I suoni che ne risultano sono assai differenti tra loro, anche a parità di forme e progetto, e il musicista che deciderà di rendere una il muletto dell’altra potrebbe trovarsi davanti ad alcuni grattacapi.
Spettri a confronto
Sono le differenze tra gli strumenti ad alimentare la GAS e spingere alla decisione di fare nuovi acquisti. Le stesse che ci conquistano, però, devono essere gestite con cognizione di causa, soprattutto se si ha ben chiaro il proprio sound un mente e si è lavorato tanto per padroneggiare il setup col quale ricavarlo.
Nello schema che segue è possibile vedere la risposta delle due chitarre nella stessa parte suonata. L’humbucker, in rosa, mostra fin da subito una gamma bassa più gonfia e un picco nei medi tra gli 800 e i 1000Hz, che all’orecchio si traducono in un attacco presente ma leggermente smussato, rotondo e con un rombo alla base sulle note più gravi.
Il P90, in verde, dimostra invece dei bassi più asciutti seppur presenti e in generale resta indietro sui medi e medio-bassi. Viceversa, tra i 3 e i 4kHz qualcosa accade e si muovono frequenze che l’humbucker non aveva per nulla, risultando in un suono più aperto e vagamente acustico nello strumming.
In generale, si nota all’istante che la forma d’onda differente della seconda chitarra risulterà all’orecchio come un segnale di ampiezza inferiore, nonostante alcuni picchi riescano a pareggiare l’humbucker. La saturazione generale sarà quindi ridotta e, nel video, si nota con un timbro meno compresso, che increspa più difficilmente laddove l’humbucker già solletica una convinta saturazione.
L’equilibrio
Lo scopo dell’esperimento in video è stato ricercare una sorta di equilibrio, una condizione in cui le due chitarre possono essere interscambiate senza risultare in livelli di segnale sballati o far sentire il bisogno di un ritocco all’equalizzazione.
Dalle conclusioni emerge come una singola soluzione non permetta di risolvere tutti i problemi e la modellazione del suono vada affrontata di caso in caso.
Laddove la differenza di output viene compensata con facilità, l’operazione provoca differenze timbriche tali da portare a rivedere le regolazioni base del proprio amplificatore. Allo stesso modo, forzare uno strumento a restituire una voce diversa da quella per cui è progettato, quantomeno sfruttando i mezzi che un chitarrista ha comunemente a disposizione, dimostra di non essere mai una buona idea.
Tutto, come spesso accade, si riduce all’esperienza individuale, alle necessità del caso e alla sensibilità del musicista. Per un esperimento che, di fatto, più che dare risposte, invita a nuove riflessioni e confronti. |