Sarà che sono stanco di risolvere problemi legati alla caduta dei gravi ed ai campi elettrici generati da due distribuzioni di carica, sarà che oggi non ho voglia di calcolare le masse molari di alcuni composti, sarà che è uno di quei sabato pomeriggi piovosi, nei quali, quando abitavo a Bologna, amavo passeggiare sotto ai portici, fermandomi sistematicamente a fumare una sigaretta, pensando a quanto fosse bella Piazza Maggiore deserta e profumata di pioggia, fatto sta che in questo momento mi ritrovo a riflettere su qualcosa che sta caro a qualsiasi essere umano, seppur magari su piani differenti, ovvero la bellezza. Un concetto del tutto soggettivo, anche se forse la soggettività sta principalmente nella percezione che ognuno di noi ha di essa stessa. Potrei argomentare il tutto citandone le più diverse esplicazioni, dai filosofi agli scrittori, dai pittori agli stilisti di moda, dai poeti ai cantanti. E invece no, sono io a scrivere, sono io a riflettere, sono io a decidere quale senso conferirle e sono sempre io volerne descrivere una forma particolare, ovvero quella associata ai suoni prodotti dall'alchimia che si crea talvolta tra dita sapienti e corde tese, vogliose sino allo spasmo di essere guidate. Gli antichi greci consideravano l'elettricità come un fluido, capace di trasferirsi da un corpo all'altro; così decido di rubar loro questa spiegazione ed associarla per l'appunto a quei suoni, che, in maniera possente e delicata allo stesso tempo, riescono a far vibrare il nostro sistema di ossicini, fluidi e membrane, raggiungendo con le loro frequenze i nostri cuori. Ricordo ancora come se fosse adesso la prima volta che la mia attenzione fu rapita dall'immagine di Jimmy Paige al Madison Square Garden, che iniziava ad arpeggiare Stairway to heaven. Era una videocassetta acquistata da mio padre da Nannucci a Bologna, mi ricordo tutto il suo fervore nell'attesa di giungere a casa per avviare quella visione. Io non avrò avuto più di cinque anni, eppure mi resi conto all'istante che quelli erano suoni diversi, che racchiudevano qualcosa in più. Sarà forse per questo che ancora oggi non riesco a non emozionarmi all'ascolto anche di un solo secondo di quella magica esecuzione. E ancora mi tornano in mente le canzoni suonate dai Pink Floyd a Venezia, in quello che ritengo essere il più bel concerto che sia mai stato tenuto in Italia. Anche in questo caso devo ringraziare mio padre, che, non vorrei sbagliarmi, seguiva un programma settimanale, in onda alla rai più di vent'anni fa, presumibilmente intitolato Notte Rock. E sempre a mio padre devo il fatto di aver compiuto viaggi interminabili su tutte le autostrade d'Italia, quando ancora le famiglie medie potevano permettersi di decidere senza preavviso di partire alla volta delle più svariate città d'arte e non, munite di macchina fotografica e telecamera dal peso improponibile. Ebbene, in quei viaggi c'erano canzoni, che non poteva non lasciarmi ascoltare alla radio, premendo costantemente il rewind fino allo stremo, canzoni come Brothers in arms, con quella chitarra che sembrava lacrimare ad ogni pizzicata di Mark Knopfler. Poi sono cresciuto ed è stato bello ricambiare il favore, propinandogli tonnellate di cd e cassette prima ed mp3 poi, catturando di tanto in tanto la sua attenzione. Come non restare rapiti dal tono struggente di Lenny di SRV o da esecuzioni di The thrill is gone come quella nel Crossroad del 2010? Allo stesso tempo come non trovare geniale la capacità di suonare incazzati e con il cuore triste da parte di Slash, in pezzi del calibro di November Rain e Don't cry? E ancora come non lasciarsi trascinare sul fondo con la mescolanza tra la voce e gli arpeggi insistenti di Elliot Smith? Sono qui a parlarvi di canzoni che, commerciali o meno, ricercate oppure no, sono belle. Sono qui a parlarvi di quella bellezza, che a volte vedi in una madre e ritrovi in una figlia. E' quella stessa bellezza capace di penetrare a fondo nella mia anima, di percepire quando assecondare la mia tristezza, accrescere la mia gioa ed accompagnare la collera. E' quel fluido generato da un bending di David Gilmour o da quella nota secca di Mark Knopfler, insostituibili in quel preciso istante di quelle specifiche canzoni. E' proprio quel fluido che da loro passa a me. E' quel fluido che, capace o incapace che sia, cerco di trasmettere alla mia amata sei corde. La bellezza è ovunque in questa stanza da cui scrivo, perchè di essa sono intrise le pareti, il letto, i libri e tutto ciò che in essa è contenuto, io stesso compreso.