Ieri sera mi sono esibita con il mio gruppo in una festa privata di amici e conoscenti vari. Anche se non lo posso fare così spesso come vorrei, non è certo la prima volta che canto per gli altri. La serata è andata abbastanza bene, il repertorio anni 70-80 è piaciuto ai più, qualcuno si è anche scatenato quando abbiamo fatto i Ramones, insomma, un bilancio positivo. Gli amici si sono complimentati e gli applausi non sono mancati. Eppure mi sono resa conto che la cosa che più di tutte mi è piaciuta è l'aver cantato soprattutto per me stessa. Sì, perchè avevo l'impellente necessità di utilizzare la musica come strumento per cacciare fuori tutta la rabbia, la delusione, l'infelicità che provo in questo periodo. Quando ero adolescente la musica aveva unicamente questo scopo e cioè farmi sfogare. Scrivevo canzoni per me, cantavo per me, non era importante se gli altri le apprezzavano o meno. Poi, crescendo e cominciando a suonare in una vera band, mi sono resa conto dell'importanza di piacere anche al pubblico, di farlo divertire ed emozionare. Questo, unito ad una vita piuttosto tranquilla e serena, ha fatto passare nettamente in secondo piano il bisogno di utilizzare la musica come valvola di sgofo, come contenitore di cattivi sentimenti. Ed ora che, purtroppo, per vari motivi i cattivi sentimenti sono tornati, mi sono ricordata di quanto utile possa essere la musica per buttare fuori le emozioni e forse anche per elaborarle. Insomma .... la solita storia, il blues dell'anima che diventa arte ... e che arte. Il lato positivo dell'infelicità degli artisti.