di Denis Buratto [user #16167] - pubblicato il 22 maggio 2015 ore 07:30
Abbiamo provato una Luke fatta e finita, se non fosse per il marchio riportato sulla paletta. Nonostante le apparenze, infatti, si tratta di una Sterling e non della più costosa e pregiata Musicman.
Abbiamo provato una Luke fatta e finita, se non fosse per il marchio riportato sulla paletta. Nonostante le apparenze, infatti, si tratta di una Sterling e non della più costosa e pregiata MusicMan.
La Sterling nelle forme è simile, se non identica, alla Luke made in USA. Le maggiori differenze risiedono nella scelta dei materiali. Per il body troviamo un pezzo di tiglio, al posto dell'ontano utilizzato per la LIII. Il manico per entrambe è in acero, ma sulla LK100 non è in pregiato birdseye roasted maple.
Le geometrie sono invariate, stessa scala, stesso radius, così come l’elettronica. La LK100 monta i nuovi DiMarzio signature di Lukather, i Transition, con cover cromata. La firma del chitarrista dei Toto si nasconde non solo nell’elettronica, ma anche nel setup del ponte. Questo, simile a quello MusicMan, è settato proprio come lo vorrebbe Steve: pronto per salire di un tono e mezzo e resistente anche ai dive bomb più esagerati. In questo è aiutato dalle meccaniche autobloccanti, meno performanti delle originali americane, ma solide.
Il vano batteria sul retro del body ci ricorda che sulla Luke è presente un boost attivo, inseribile con il potenziometro push-push posto sul controllo di tono.
Ora non ci resta da far altro che collegare la Luke alla nostra testata Dangelo e vedere se, la versione orientale sa tirare fuori le unghie, come quella statunitense. Quasi per sbaglio, quando disinseriamo lo standby dell'ampli, il gain è già a ore 10. Ci toccherà iniziare con un crunch il nostro test. La cosa in realtà non ci disturba granché, anzi. Con il selettore a tre posizioni messo in centro abbiamo sotto le dita un sound accattivante. I DiMarzio si comportano davvero bene. Sono belli ciccioni, aggressivi, ma non troppo, quanto basta per lanciarsi in qualche ritmica sporca e un po' marciona. Abbiamo a portata di mano un push-push e non temiamo di usarlo. Un colpo di mano e quello che era un crunch diventa una distorsione fatta e finita. Due suoni al prezzo di uno, perché il guadagno sull'ampli, non lo abbiamo nemmeno sfiorato. Lo facciamo ora, per sentire come si muove la Sterling nei clean. uno split, o switch seriale parallelo, non ci sarebbe dispiaciuto, ma dobbiamo ammettere che i Transition non sono per niente male anche quando le ritmiche si fanno funk. La maggior presenza di basse dei full-humbucker ci dà una spinta in più nelle parti arpeggiate, una manna.
È giungo il momento di mandare a cannone il guadagno. La zona rossa crediamo sia il frangente in cui la Luke orientale riesce a spadroneggiare. I pickup spingono, spingono parecchio. Le medie escono poderose, spinte da un bottom largo e presente. Con il gain a manetta le differenze tra manico e ponte un po' si appianano, ma il primo resta comunque più scuro e grosso, merito della vicinanzaalla tastiera di sicuro.
La Sterling Lk100D è una chitarra con una dotazione pregiata, realizzata con buoni materiali e assemblata con cura. Il tutto (borsa morbida inclusa) vien via ad un prezzo intorno al migliaio di euro. Una cifra non bassissima, ma proporzionata rispetto alla qualità dello strumento. Certo, lo sappiamo bene che con qualche centinaio di euro in più ci si può portare a casa una vecchia Luke made in USA, ma questa è un'altra storia.