Avevo a malapena finito di scrivere , nel quale esprimevo forti e credo sensate perplessità circa l’acquisto di una chitarra datata, soprattutto da parte di chi non abbia competenze superiori alla media e da chi semplicemente non voglia problemi e... oplà, ecco che mi ero già contraddetto, essendomi incapricciato di una vecchia Fender. Che volete farci, sono dolcemente complicato come le donne di Enrico Ruggeri (ma, per favore, non portatemi delle rose, lasciate stare) o forse è solo che noi amanti della chitarra siamo oltremodo incoerenti.
Veniamo a lei: trattasi di una Fender Stratocaster del 1978 (il seriale inizia per S8), sunburst, tastiera in acero. Allora, calma, non rumoreggiate perché vi sento. “Eh, ma le late 70s…”. Lo so, certo, le late 70s hanno una brutta reputazione e una serie di caratteristiche che vi fanno sclerare. Vogliamo elencarle? Forza, così ci leviamo il dente e il dolore. Partiamo dalle più soggettive.
1) Il palettone: Elio cantava “…poi ti amo, poi ti odio, poi ti amo, poi ti apprezzo”. Ecco, io il palettone diciamo che lo apprezzo.
2) Trussrod bullet: qui c’è poco da dire, io lo trovo molto comodo e rappresentativo di un’epoca. Mi basta guardarlo e mi crescono i capelli a boccia da afroamericano allo Studio 54.
3) Manico “a tre viti”. Vedi sopra: fanno pendant con i pantaloni di velluto a zampa di elefante.
Fin qui siamo rimasti nel campo della più assoluta soggettività. Per trovare qualcosa che vada oltre dobbiamo scomodare la verniciatura alla nitro. Ci piace? A me molto, in effetti, ma risente eccome dello scorrere del tempo, degli agenti atmosferici, insomma si rovina. Del resto, per molti è proprio quello il bello. La mia Strat in particolare presenta molti di quei peculiari “buchini” sulla superficie del body e fin qua tutto ok, almeno per me. Amo meno quel fenomeno di opacizzazione e scrostamento del lucido nel retro del manico, nella zona alta (e nel retropaletta) e in fondo, all’altezza degli ultimi tasti. In uno dei miei proverbiali eccessi di ansia ho scomodato non uno ma due liutai, uno di Milano e uno veneto molto noto, oltre a qualche amico esperto, ottenendo unanimi rassicurazioni: non c’è nulla di strano, si tratta in effetti di uno sfogliamento dovuto al tipo di vernice e al fatto che a quell'epoca non si usavano turapori.
Avrei dovuto pulirla bene prima di fotografarla? Sì. L'ho fatto? No. Mi perdonerete? Lo spero
Ebbene, ho traccheggiato anche troppo, è giunta l’ora di affrontare il proverbiale elefante nella stanza (mai immagine fu più calzante): il peso. Le Strat di quell’epoca sono accusate di essere dei macigni e la mia ’78 non fa eccezione, la bilancia segna infatti 4,5 kg. Del resto il frassino non è leggero, infatti anche la mia (già citata) Dan Smith dell’82 era tutt’altro che un fuscello. Però mi chiedo e vi chiedo: saremo pure dei pipparoli sedentari brizzolati o calvelloni, di quelli che allenano intensamente solo la mascella e l’indice sul mouse, ma davvero quattro-chili-e-mezzo (è il peso di un neonato paffutello) è qualcosa di inaffrontabile? Voglio dire, se siete dei professionisti che tengono la chitarra al collo tre ore ogni sera e se le vostre esigenze di mobilità sul palco sono parametrate su quelle di David Lee Roth nell’86, beh posso comprendere che diventi un fattore determinante, in tutti gli altri casi scusate ma no.
Diamine, ma quindi questa chitarra non è leggera&risonante™! Ebbene, del peso vi ho già resi edotti, ora fornitemi una definizione precisa di “risonante” applicata al legno di una chitarra elettrica solid body, così la facciamo finita.
Se invece volete sapere se questa Stratocaster suona bene, la risposta è sì, molto. La mia “S8” suona bene e suona tanto: ho voluto che fosse il liutaio (Andrea di Manifatture Sonore, Milano) a fare un setup, nell’occasione gli ho anche chiesto di rimuovere la schermatura che era stata applicata dal precedente proprietario. Già da spenta, la chitarra si distingue per un attacco notevole, il che confermerebbe quello che di norma si dice sul frassino. I suoi pickup sembrano enfatizzare questa caratteristica e, per così dire, privilegiano le medio-alte. Il risultato è di ritrovarsi per le mani una macchina tagliente, indubitabilmente Strat ma più che mai a suo agio nel vintage-pop, nel funk e ovunque possano servire suoni scintillanti e vetrosi. Personalmente amo il radius da 7.25”, certo è che con questo tipo di tastiera sarà difficile ottenere un’action particolarmente bassa, ma queste sono cose che tutti sapete.
Concludo con un’ultima questione che potrebbe far venire il mal di pancia a qualcuno. La parola con la “f”. Ma no, non quella… certo che avete il chiodo fisso, maniaci. Intendevo FASCINO.
Parlo malvolentieri di fascino perché è quanto di più soggettivo possa esistere, non è quantificabile, è impalpabile, è qualcosa che respiri ma che difficilmente sai decodificare. Ma non posso esimermi dal tirarlo in ballo perché per me è stato proprio il fascino il principale motivo dell’acquisto di questa chitarra, ciò che me l’ha fatta preferire alle reissue e a una bella signature che avevo puntato. Amo il colore, l’aspetto vissuto, i segni sul body, le caratteristiche che, piacciano o meno, sono quelle di quegli anni lì. Anni in cui io e forse molti di voi eravamo in culla, ma là fuori fiammeggiava una scena musicale e culturale irripetibile, anni grevi di piombo e rossi di sangue, anni nei quali però si poteva credere che tutto fosse possibile; anni in cui la musica (persino il pop più commerciale) era meno sintetica e addomesticata, anni di punk e di hard rock, di disco e di reggae, anni di cantautori, anni di un politicamente scorretto che era l’indispensabile terreno di coltura per tentare di dare al mondo e soprattutto all’uomo una lettura tridimensionale, un attimo prima che finissimo compendiati nei foglietti dei baci Perugina e poi compressi in un file da pochi byte, archiviato da qualche parte.
Lo so, mi sono lasciato prendere un po’. Ma è proprio questo, l’effetto che mi fa una Fender Stratocaster del 1978. Sunburst, tastiera in acero, radius 7.25”. |