di Gianni Rojatti [user #17404] - pubblicato il 21 aprile 2023 ore 17:00
Le chitarre aiutano i musicisti a raccontare le loro storie. Ma anche da sola, una chitarra è capace di raccontare tanto. Per esempio, imbracciando la chitarra di un session man, quasi non ci credi quando ti confessa che quella stessa copia di humbucker abbia suonato su così tanti dischi, per così tanti artisti differenti. Suoni diversi, stili e generi disparati, attraverso amplificatori, pedali, rack che cambiavano di continuo, assieme alle esigenze di produttori artistici, cantanti e band che - quando non inseguivano le mode - magari erano proprio loro a determinarle, attraverso un rinnovarsi senza tregua della scena musicale.
Certo, la chitarra di una rock star non ha sicuramente meno fascino: tour, concerti, successi. E te la immagini, madida di sudore sotto i riflettori, proteggersi dall'assedio delle orde di mani di chi, stipato sotto al palco, spasima un contatto con l'artista. Per poi, magari solo un'ora dopo, starsene elegantemente abbandonata sul lussuoso divano di una suite d'albergo.
Oppure la chitarra di un virtuoso: che si gode attenzioni e acrobazie esclusive, cascate di note che altre chitarre invidiano e altri musicisti sognano.
Ma la chitarra di un session man riesce a catturarti in maniera differente. Sembra quasi che abbia fatto la storia. Ma dalle retrovie. Lei e chi la suonava, forse di quella storia ne hanno determinato gli esiti con riff, arpeggi, intuizioni, sostituzioni di accordi che - magari - hanno trasformato un grande pezzo nel singolo di successo di una stagione. Ma senza che questo la consegnasse all'applauso che avrebbe meritato. Alla recensione che le avrebbe reso il giusto tributo. Ma una chitarra così, non ha tempo per crucciarsi che è già ora di cambiare scalatura di corde, overdrive, plettri. Il tour pop è finito e domani iniziano le prove con il quartetto blues. Lei resterà lei, così come le dita di chi la cura e accarezza. Tutto quello che ci gira attorno cambierà: dai voicing degli accordi, alle facce del pubblico e dei tecnici.
E non bisogna essere per forza un chitarrista per riuscire ad appassionarsi ed emozionarsi per un racconto così. Un appassionato di musica, uno che i dischi se li è comperati, e li ha ascoltati per intero, non può non prendersi bene immaginando che una stessa chitarra abbia dato carattere, suono e voce tra i solchi di SONO SOLO CANZONETTE (1980) di Edoardo Bennato o CUORI AGITATI (1985) di Eros Ramazzotti; abbia suonato su NUDA (1976) di Mina oppure su UNA CITTA' PER CANTARE (1980) di Ron e L'INDIANO (1971) di Fabrizio De Andrè. Non sono titoli di album, presi a caso: sono solo una parte piccolissima della discografia di un gigante della chitarra italiana, Claudio Bazzari. Un blues man sopraffino con il vizietto del pop. O magari il contrario.
Quando ho ficcato il naso sull'elenco di chitarre che saranno presenti il 14 maggio al Vintage Vault di Milano, l'occhio mi è subito caduto sulla Gibson di Bazzari. Una ES335 del 1959. E ho pensato alle copertine di quei dischi, ai centinaia di pezzi in cui ha suonato. A tutte le storie che avrebbe potuto raccontarmi.