Questa volta si parla di corde, cioè di quello che materialmente "tocchiamo" quando suoniamo. Credo rivestano davvero un aspetto importante per il nostro playing.
Dopo aver usato anche le 0.12 (nel mio lontano "periodo jazz"), ultimamente mi sono chiesto per qual motivo, adesso che uso tanti bending e tanti legati, devo affaticarmi le mani (col rischio di tornare a soffrire per tendiniti varie).
Ho letto che certi chitarristi (vedi Eric Gales) usano le 0.10, ma accordano un semitono sotto.
Parallelamente, c'è chi (Holdsworth e Malmsteen ad esempio) usa corde molto sottili ottenendo comunque un suono gigantesco.
Ho provato quindi ad usare le 0.09, ma le trovo abbastanza inconsistenti sotto le dita. Le 0.10 hanno una consistenza migliore, ma a volte (specie su chitarre a scala lunga) mi affaticano un po'.
Ernie Ball e D'Addario (e probabilmente anche altre case) hanno trovato una bella soluzione, che è un po' un uovo di Colombo: le 0,095. Come si può agevolmente capire, si tratta di una muta intermedia tra le 0.09 e le 0.10.
La differenza tra Ernie Ball e D'Addario è tra l'altro abbastanza marcata: le prime sono più "scorrevoli", mediose ed elastiche, mentre le seconde sono più ruvide e meno scivolose al tatto, con un picco sui medioalti e lievemente più consistenti (e più costose).
Una cosa di cui mi sono accorto è che le corde vanno valutate mentre si suona su un ampli, ancora di più mentre si suona dal vivo. Questo vale anche per i plettri: un plettro che a chitarra spenta mi sembra "duro" e con un attrito notevole, dal vivo o comunque sull'ampli restituisce un sound più nitido e pulito (quindi ultimamente io suono soprattutto con le dita, per coerenza).
Ad ogni modo, se trovate le 0.09 troppo esili e le 0.10 pesantucce, provate la via di mezzo: probabilmente ne varrà la pena!
D'altronde, almeno in questo campo, è ancora possibile sperimentare senza svenarsi. |