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Brian Monroney, live con Tom Jones nel 1992
Brian Monroney, live con Tom Jones nel 1992
di [user #65794] - pubblicato il

Brian Monroney è uno di quei chitarristi dall’imprinting jazz e dall’animo intriso di blues, ma non rinnega in nessun modo le influenze country che nel Sud degli States colpiscono alla pari dei carboidrati nella vita di un italiano. Nato il 2 ottobre 1963 a Jackson, Mississippi, dove la vita scorre al ritmo di una corrente lenta e instancabile, Monroney ha speso 17 anni al fianco di Tom Jones. Una "hired gun", ovvero una delle tante pedine silenziose senza le quali il mondo musicale cadrebbe miseramente.
Prima che lo show televisivo se ne impadronisse, il soprannome "The Voice" era attribuito a una persona e una soltanto: Sir Tom Jones. Che voce, quella di Jones, troppo spesso ridotta a baritonale, ma in realtà capace di spingersi espressivamente ben oltre la parte centrale della gamma vocale. E che personalità, quella di Tom, showman per antonomasia, mattatore del rhythm & blues in grado di rapire anche le menti dei giovanissimi che l’hanno conosciuto esclusivamente grazie al suo ruolo di giudice in The Voice, per l’appunto.
La storia di Mr. Jones è troppo lunga, la sua discografia lo è altrettanto, e quindi oggi riportiamo orologio e calendario a un preciso momento storico.
 
È l’11 marzo del 1992, Tom Jones e la sua band stanno per salire sul palco del The Dennis Miller Show, late show in onda sulla rete americana ABC. L’esibizione potrebbe sembrare fra le più “canoniche” per un late show, ed a tutti gli effetti lo è, ma offre un ottimo spunto per introdurre una figura cruciale nella carriera di Jones.
 

Forte di un doppiopetto rosso e di una posa a gambe larghe da dominatore dell’universo, Jones si impone sulla scena con una forza devastante. Succedeva spesso tra gli anni ‘80 e ‘90, e chiunque abbia avuto modo di vederlo dal vivo può confermarlo. La scaletta si compone di brani tra i più ricorrenti nelle setlist di Jones. Tre grandi classici, due dei quali sono cover immancabili come Hold On I’m Coming e Knock On Wood, completate dalla pietra angolare della carriera di Tom The Voice: It’s Not Unusual
Fino a qui tutto potrebbe apparire abbastanza lineare, ma a un secondo ascolto è facile lasciare che l’orecchio si concentri sulla performance di quel ragazzone alle spalle di Jones, quello che imbraccia una super-Strat in finitura natural (molto probabilmente sverniciata come era in voga fra i modders). Forse è anche grazie al mix televisivo che la chitarra della band riesce a spiccare in maniera molto definita, permettendo quindi di apprezzare al meglio un lavoro ritmico che nella musica di Jones è la variabile in grado di definire se un’esibizione convince del tutto.
 
Con dei pantaloni color kaki, una camicia nera completata da una cravatta a righe, e degli occhiali da vista tondeggianti, il suo look di è quello di un Buddy Holly trasportato nel futuro, fattore che ben si sposa con l’indole sonora di Jones. Il suo sound è un clean potente, molto percussivo, leggermente tendente alla saturazione quando spinge maggiormente con la mano destra. Il suo nome è Brian Monroney: se non l'avete già fatto, prendete nota.
 
Brian Monroney è nato il 2 ottobre 1963 a Jackson, Mississippi, dove la vita scorre al ritmo di una corrente lenta e instancabile. Jackson è la capitale e la città più popolosa del Mississippi, ed è un perfetto emblema degli States più “veri” ma anche più duri. 
Il primo sindaco afroamericano di Jackson è stato eletto soltanto nel 1997; per svariati anni, in tempi recenti, l’amministrazione ha mancato ripetutamente di rifornire le abitazioni con acqua potabile; tutt’oggi la città continua a essere un luogo dove all'imbrunire non è sempre consigliabile farsi trovare impreparati. Giusto per dare un titolo al tutto, è bene ricordarsi che Jackson è conosciuta anche come the murder capital of the world (traducibile come capitale mondiale degli assassinii). Jackson è un crocevia, una città di passaggio che con il mondo musicale ha avuto il suo bel da fare, e guardando alla sua posizione sulla mappa non è difficile capire il perché. A metà strada tra Memphis e New Orleans sulla Interstate 55, ma anche a metà strada tra Dallas e Atlanta sulla Interstate 2, Jackson è un punto d’incontro di tutto ciò che rappresenta in maniera inequivocabile il Deep South.
 
Brian Monroney, live con Tom Jones nel 1992

Il nostro uomo, Brian Monroney, è una di quelle figure schive del panorama chitarristico. Un uomo al servizio della musica, poco incline al prestarsi ai riflettori, una di quelle pedine silenziose senza le quali l’intero settore cadrebbe miseramente a pezzi. Nella sua carriera ha supportato Natalie Cole, Barry Manilow, Gloria Estefan e molti altri ancora, ma per 17 anni è stato al fianco di Tom Jones sia nelle vesti di chitarrista, sia come direttore artistico. Seppure qualche ricerca porti subito a galla i nomi di Big Jim Sullivan, Chris Spedding, Dean Parks, Rob Harris e Mick Green, è a Brian Monroney che si deve guardare se si vuol carpire un po’ del lavoro chitarristico svolto al servizio di Jones.
 
Se il The Dennis Miller Show non compare di frequente sui radar italiani non c’è da preoccuparsi. Nella golden age della Late Night Tv sembra esserci spazio un po’ per tutti, ma la competizione con David Letterman e Jay Leno è troppo dura da gestire per la satira sagace di Dennis Miller. Lo show viene cancellato da ABC dopo due sole stagioni, ed è un gran peccato soprattutto viste le possibilità offerte dalla direzione musicale affidata a nientemeno che Andy Summers. 
 
Brian Monroney, live con Tom Jones nel 1992

Hold On I’m Coming è una hit del ‘66 firmata da Sam & Dave, e Tom Jones l’ha ciclicamente riproposta durante l’arco della sua carriera. La versione originale ha tutti i tratti fondamentali di una produzione soul degli anni Sessanta, ma quella che Jones porta al Dennis Miller Show gode di una carica molto più eminente. Lo stesso vale per Knock On Wood, brano sempiterno di Eddie Floyd che Tom Jones ha inserito stabilmente nel suo repertorio. Entrambi i brani offrono un buono spaccato sul lavoro di Monroney alla chitarra, il quale è chiamato soprattutto a dare corpo ad un ruolo chitarristico che originariamente non era altrettanto corposo. Sia nel brano di Sam & Dave, sia in quello di Eddie Floyd, la chitarra svolge un ruolo di mero accompagnamento, tutt'al più sforando in una sorta di contraltare, o di ribattuta, rivolto alla linea vocale. Durante tutta l’esibizione al Dennis Miller show Brian Monroney non eccede mai il limite di quel suono clean che, però, è il segreto che gli permette di spiccare in maniera decisa e definita all’interno del mix. Affiancare un suono cristallino e scampanellante ad una voce come quella di Jones è una mossa semplicemente perfetta, e a trarne giovamento non è soltanto la chitarra, ma l’intera esecuzione. Ogni plettrata di Monroney arriva precisa, sicura, il che aiuta la reinterpretazione dei due brani ad assumere dei tratti molto più decisi. In questo caso Monroney non opera come un legante ma come uno scalpello, riuscendo così a dare molta più profondità ed incisività agli unisono del gruppo.
 
Brian Monroney è uno di quei chitarristi dall’imprinting jazz e dall’animo intriso di blues (vedere questa registrazione con Tim Lerch per credere), ma non rinnega in nessun modo le influenze country che nel Sud degli States colpiscono alla pari dei carboidrati nella vita di un italiano. Monroney è un musicista perfettamente in sintonia con il mondo sonoro di Jones, ma soprattutto con l’educazione "di repertorio" di Sir Tom, e probabilmente è proprio per questo che la loro collaborazione dura più di 17 anni. L’immagine di Monroney rispecchia il suo sound e la sua personalità musicale, limpidamente in controtendenza con l'idea del guitar-hero affermatasi sul finire degli anni ‘80.
 
Brian Monroney, live con Tom Jones nel 1992

La presenza sonora potente, ma pur sempre pulita di Brian Monroney è il perfetto partner per l’esuberanza di Tom Jones. Nella gran parte dei casi tutto ciò si riflette in chitarre dall’attacco definito e dalla presenza percussiva molto forte. Le notizie e le informazioni disponibili riguardo a Monroney sono pressoché nulle, e pertanto guardare ai live show è il modo migliore per tracciare una sorta di identikit del personaggio. Al fianco di Tom Jones lo si vede imbracciare molto spesso chitarre stratoidi, custom oppure pesantemente modificate, come nel caso della Stratocaster usata al Dennis Miller Show. A questo proposito, nell’esibizione in questione si riconosce chiaramente una Stratocaster con headstock anni ‘50 e body natural, ma le “ombre” sul legno del corpo fanno pensare ad una sverniciatura e non ad una finitura natural “ufficiale”. Ancora più interessante, però, è la configurazione dei pickup della Stratocaster di Monroney, che è dotata di humbucker al ponte, di un single coil in posizione centrale, e di quello che potrebbe essere un simil P90, oppure un mini-humbucker, in posizione al manico. Considerato il tipo di suono clean molto definito e rotondo che Monroney usa durante tutta l’esibizione, e dato per certo il Fender Twin Reverb alle sue spalle, sarebbe molto interessante capire se quello in posizione al manico sia effettivamente di un pickup simil-P90. Se così fosse, si tratterebbe di una scelta in grado di fornire un’ulteriore conferma della singolare identità sonora del personaggio in questione.
In molte altre occasioni è facile ascoltare Monroney con strumenti firmati da James Tyler, scelta comune tra i session men in attività fra gli anni ‘80 e ‘90; più raramente, perlomeno con Tom Jones, lo si vede imbracciare chitarre dotate di pickup humbucker, ma anche in quel caso si tratta di chitarre con body di tipo hollow o semi-hollow (scelta più che sensata vista la chiara predilezione per strumenti dall’attacco molto deciso). Così come è d’uopo per ogni buon uomo del Deep South, non è difficile vedere Monroney con Telecaster di varia natura, ma i molti documenti live disponibili non lasciano grandi dubbi nel definire una simil-strat come lo strumento ideale per quel sound clean che Monroney mostra al suo meglio nel live del 1992 al Dennis Miller Show.
 
È una figura intrigante, quella di Brian Monroney, come lo sono spesso i musicisti chiamati a brillare all’ombra di una star, o ancor meglio a brillare per compostezza, precisione e puntualità. Le variazioni, ed in particolare le appoggiature, che Monroney applica alla ritmica funk di Knock On Wood sono un perfetto esempio di come conoscere i propri spazi possa aiutare ad espandere il vocabolario espressivo molto più della libertà assoluta. Ad ogni modo una breve ricerca online vi permetterà di apprezzare facilmente il linguaggio forbito e articolato di cui Monroney può fare sfoggio laddove necessario.
Al giorno d’oggi è molto interessante rivisitare esecuzioni come quella di Monroney con Tom Jones nel 1992, soprattutto dopo aver assistito al ritorno in auge del suono clean (così come del pickup P90) in quanto veicolo espressivo scelto per forza e capacità di proiettarsi nel mix. Non è un caso che la decade recente abbia celebrato fenomeni sonori come Cory Wong nel bel mezzo di un rinascimento funk e soul (ribattezzato nu-soul per qualche motivo ancora non del tutto chiarissimo) che ha permesso di riscoprire quanto di buono sia stato fatto sul versante chitarristico in quel determinato ambito musicale.
Tutto cambia senza mai cambiare davvero, nella musica è l’unica legge in grado di resistere alla prova del tempo, ecco perché il lavoro di Monroney (così come quello di molti, moltissimi altri) è sempre valevole di essere rivisitato e riletto alla luce di prospettive nuove. Spesso guardare al passato è come specchiarsi in un presente dai tratti più definiti, e nella ritmica che Monroney dispensa nell’esibizione del ‘92 non è difficile rintracciare i solchi di quel movimento chitarristico che oggi fa capo a progetti come quelli di Vulfpeck, Lettuce, The New Mastersounds, The Fearless Flyers e Scary Pockets, così come a nomi quali Giacomo Turra, Ryan Lerman, Nate Mercereau, Mark Lettieri, Isaiah Sharkey e Cory Wong.
 
L’11 marzo del 1992 Tom Jones si esibiva al The Dennis Miller Show con tre brani già “vecchi” di 30 anni. Durante la rituale intervista, Dennis Miller chiede a Jones quale sia il motivo per cui il pubblico continua ad amarlo anche dopo tanti anni di attività (all’epoca 29 dei 61 attuali). La risposta di Jones è tanto candida, quanto emblematica: It’s the way I deliver a song, I hope anyway. 
Il verbo to deliver è traducibile come “consegnare”, e racchiude in sé un grado di semplificazione esemplare perché, perlomeno in ambito musicale, intende rappresentare l’operazione composta dallo scegliere un brano e consegnarlo all’ascoltatore. Il modo in cui quella consegna viene effettuata, cambia ogni prospettiva. Il verbo to deliver avvicina la musica ad una consegna effettuata dai corrieri di Amazon, e pertanto il Tom Jones di turno prende un brano (in questo caso scritto da altri) e lo consegna all’ascoltatore tramite la sua personale revisione. La delivery, e quindi l’esecuzione, è il fulcro di tutto.
 
Nel 1992 Brian Monroney regala al pubblico una performance chitarristica potente, alla quale si può guardare senza assorbire il peso di un apporto tecnico soverchiante. Monroney è il chitarrista che tutti potremmo essere… se soltanto riuscissimo a mettere mano alle 6 corde con la stessa concretezza e caparbietà.
Al Dennis Miller Show non prendono vita assoli suonati alla velocità della luce, non si rintracciano distorsioni in grado di far tremare le pareti, e non si vede un setup esoterico da poter analizzare. Di questa performance quello che resta è la purezza di Monroney nel suo essere al servizio di qualcosa che non è la figura di Tom Jones, ma è invece l’essenza stessa dei brani in questione. Il tiro, il mojo o lo swag di un brano non si quantificano ma si percepiscono, e soprattutto si consegnano.
Ecco perché non siamo qui a celebrare il singolo fill, oppure un lick capace di far girare la testa. La delivery di Monroney è quello che conta: tosta e caparbia al punto da tener testa a Tom “The Voice” Jones senza alcun bisogno - ed è proprio il caso di dirlo - di effetti speciali.
brian monroney tom jones
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