Non sono una a cui interessa molto la borsa, a meno che non si tratti di un bel contenitore in cuoio con tracolla (possibilmente in saldo). Tuttavia un paio di settimane fa una notizia letta proprio qui su Accordo aveva attirato la mia attenzione: Fender si sarebbe affidata a un’offerta pubblica di acquisto sul mercato di Wall Street. La crisi degli ultimi tempi, infatti, ha fiaccato anche questo colosso con un calo consistente delle vendite e col lancio dell’offerta pubblica ci si aspettava di far fronte ai 246,2 milioni di dollari di debiti. Fiduciosa dei buoni risultati che i marchi consolidati solitamente ottengono, nel marzo scorso la società aveva presentato il filing per il collocamento e l’esordio in borsa avrebbe dovuto avvenire il 20 luglio. Fender aveva in programma di offrire 26,4 milioni di titoli, cosa che avrebbe valutato la società più o meno 395 milioni di dollari, ma ha ritirato l’offerta pubblica a causa delle attuali condizioni di mercato negli USA e la criticità della situazione economica europea che non avrebbero consentito una valutazione appropriata. Cosa può significare tutto questo? Molti fenderiani incalliti hanno esultato alla notizia, certi che lo sbarco in borsa avrebbe portato a un crollo in qualità della produzione. Volendo ragionare sulla vicenda e facendo ricerche sul net, però, leggiamo che secondo alcuni esperti di finanza, nonostante Fender rimanga una delle più grandi case produttrici di chitarre al mondo, potrebbe essere a serio rischio di sopravvivenza considerando che ben un quarto delle vendite riguarda l’Europa. Non solo, ma si apprende anche che, da indagini di mercato, con il “declino del rock come influsso popolare” molti teenager interessati alla musica preferiscono investire i propri soldi in computer e altri strumenti tecnologici (dai garage ai laptop, insomma). Già sentir parlare di Fender come "poor standing and subject to very high credit risk” (grado di non-investimento Caa2 secondo il rating di Moody’s, ovvero “scarsa qualità, rischio molto alto”) mi spezza il cuore, ma riflettere sulle possibili motivazioni profonde di questo tracollo mi fa pensare al tramonto di un’epoca. Eppure io ci credo ancora a quel famoso detto,"When words fail, the guitar speaks". |